Gli sweepers di City Hunter 1 presentano :

Incubi di una notte di mezza estate

 

Seiya posò il suo bicchiere. Ce n'era un altro accanto. Quello che aveva appena finito era il secondo. Aveva gli occhi chiusi, aveva ascoltato Clark parlare senza guardare né lui né altro. Aveva cercato di vivere quel sogno,
per dimenticarsi il suo. Non c'era riuscita... No, non c'era riuscita.
Aprì gli occhi quanto Clark finì. Lo guardò. E quando incrociò lo sguardo del suo caposquadra gli sorrise. Era un sorriso dolce, quanto difficilmente ne aveva fatti in vita sua se non a sua sorella.
"Clark..." commentò leggera "Ti prometto che la prossima volta almeno non ti inseguirò. Anche se non ti prometto di difenderti dalle orde di ammiratrici deluse"
Sorrise di nuovo. Un velo di divertimento, sottile come una maschera di vetro, le si dipinse sul volto. Passò il dito sul bordo del bicchiere vuoto.
Distolto lo sguardo da Logan, passò rapidamente sui compagni radunati attorno al tavolo.
"Scusate" riprese alzandosi "Vado a prendermi un'altra birra"
Raggiunse il bancone e non dovette ordinare per vedersi servire il terzo bicchiere. Buttò giù il primo sorso lì, in piedi, dando le spalle agli altri. Buttò giù il secondo, chiudendo di nuovo gli occhi.
Sangue, un Lago di Sangue. Riaprì gli occhi di scatto. Il bar, c'era di nuovo la Coffee House. Un brulicare di voci attorno a lei, un filo di musica. Un mesto sorriso, un terzo sorso.
Si voltò verso il tavolo. Guardò i compagni da lontano. Uno ad uno.
Chi era lei per loro? Per tutta la gente che la circondava, sconosciuti di un bar, chi era lei?
Chi era lei?
Ivan stava parlando. Gli altri lo stavano ascoltando. E lei... lei non era lì. Non lo stava ascoltando. C'era qualcosa di sbagliato in questo, lo sentiva intimamente. Ma le andava bene così. Non voleva sentire un altro sogno... un altro incubo.
Non voleva ritrovare in esso, come in quello di Clark, bagliori del suo.
Non voleva. Un altro sorso, il bicchiere già mezzo vuoto. Non voleva rivedere quel sogno.
Ma forse Clemente aveva ragione. C'era una sola cura.
Tornò dai colleghi. La seguirono tutti con lo sguardo nel suo sedersi di nuovo.
Rispose a quelli sguardi con un sorriso.
Il sacerdote raccontò il suo sogno. Il Suo Incubo. Lei ascoltò anche lui.
In silenzio. Con gli occhi aperti. Fissandolo mentre la sue labbra si muovevano formando parole che erano immagini. Cercando il coraggio in loro che si confidavano. Cercando il coraggio di fare altrettanto.
Posò il bicchiere. Abbassò lo sguardo con esso. Fu un istante. Poi lo rialzò con tranquillità. Sembrava serena. Voleva sembrarlo.
"Ero con mia sorella, ero andata a prenderla fuori dal lavoro. Tornavamo in metropolitana. Stamattina mi ha svegliata angosciata per controllare di aver sognato. Voleva controllare che fosse stato veramente un sogno, che io fossi ancora lì. Mi ha travolta con la sua paura, con il mio doverla abbracciare e consolare come se fosse una bambina. Mi ero quasi dimenticata il mio sogno"
Iniziò a giocare con le dita sul bordo dei due bicchieri vuoti. Era nervosa.
"Cos'hai sognato, Seiya?", chiese Clark.

< Daniels : Alone >

"Sangue. Sangue come acqua su cui camminavo. L'orizzonte è vermiglio come la morte, sospeso su un desolato nulla. Sul Sangue.
Una goccia. Mi voltai, mi voltai come se avessi avuto un corpo con cui voltarmi. Una lacrima. Lucente, limpida come la lama di un pugnale. Una lacrima cadde nel lago di sangue. Si perse in esso.
Corsi. Corsi verso il punto in cui era caduta. I miei piedi affondarono un poco nel rosso mare. Un poco, solo un poco. Schizzi della linfa vitale di altri mi sporcarono, linfa vitale di altri su di me che non esistevo.
Guardai. Guardai la tomba della lacrima dispersa. Cerchi concentrici continuavano a segnare il lago.
Una mano. Una mano mi afferrò, una mano uscita dal Sangue, una mano di ossa e sangue. Una mano mi strinse, strinse le carni che non avevo. Due mani. Tre mani. Dieci mani.
Mi sentii trascinare verso il basso, iniziai ad affondare. Il Sangue mi voleva. Tentai di ribellarmi al suo volere. Dieci, quindici mani. La forza mi abbandonava, non avevo voce per gridare. Chiusi gli occhi, ma non avevo palpebre che potessero impedirmi di vedere. Stavo affondando, sentivo il Sangue intorno a me, dentro di me. Quindici, venti mani.
Volevo arrendermi. Non volevo arrendermi. Lasciarsi andare all'oblio e divenirne parte. Ma l'istinto diceva che ciò non era ciò che doveva essere.
Cerchi concentrici. Turbata ancora la liquida superficie davanti a me, laddove pochi istanti o secoli fa era caduta una lacrima. Tesi la mano, allungai un braccio che sapevo di non avere. E quei cerchi erano concreti, erano solidi. Erano appiglio. L'altra mano, l'altro braccio.
Avevo un sostegno.
Venti, trenta mani. Ma ormai la loro presa era instabile, mentre mi risollevavo.
Fui in piedi. In piedi su cerchi concentrici, io che non avevo piedi né occhi per vedere cerchi concentrici. Ma mi vidi, vidi il confine del mio corpo. Lo vidi ricoperto di Sangue, del sangue in cui stava affondando.
Posai la mano sul mio corpo. Non aveva consistenza, eppure esso era. Il palmo si macchiò di Sangue. Lo guardai. Guardai il Sangue sulla mia mano, lo guardai scorrere sulla pelle che un tempo dovevo pur aver avuto. Il Sangue
mi ricoprì, come un velo caldo ed opprimente. E vidi che quel sangue era mio, come fosse mio. Perché io non ne avevo.
L'odore di quel Sangue io lo conoscevo. Ma non lo riconoscevo. Poi vidi una figura. Prima indistinta, poi netta, sempre più veloce. Stava correndo, correva verso di me. Era madido di sangue e sudore e correva disperato.
Altri venivano dopo, lo inseguivano. Ed io ero immobile, impossibilitata a muovermi. Salda solo su Cerchi Concentrici. Gli  sparavano, lo ferivano. Il suo sangue cadeva. Ed io capii che quel lago di sangue era il sangue che lui stava perdendo. Lo capii un istante prima di riconoscerlo. Era mio padre.
Gridai. Tentai di gridare, lo ricordo bene. Ma non ci riuscii. Muta ed immobile lo vidi cadere, morto. Ucciso. E gli altri se ne andarono... mentre il suo cadavere affondava nel Sangue... Scomparve in esso, scomparve insieme
a quel mare. Scomparvero i Cerchi Concentrici.
C'erano mura adesso, c'era un pavimento, c'erano persone e scrivanie. Il mio vecchio ufficio, in America. I miei vecchi colleghi. I vecchi tempi.
Mi convinsi che era stato un sogno... solo un sogno. Tentai di raggiungere la mia scrivania, ma uno di loro mi fermò. Mi chiese chi ero. Credetti stesse scherzando, ma gli risposi. Divenne torvo e mi indicò una ragazza
seduta ad una scrivania. Mi disse che Quella era Seiya Daniels.
Non ero io. Tentai di ribattere qualcosa. Ma mi cacciarono via, dandomi della pazza. Ero disperata, convinta che tutti loro fossero pazzi...
Gridavo... Mi buttarono fuori dalla porta, ma non c'era né il corridoio né la strada. C'era la nostra stanza d'albergo. C'eravate voi, tutti lì. Mi avete guardata straniti per un attimo. Poi mi son vista la pistola di Clark puntata contro. E mi avete fatto la stessa domanda. E quando ho risposto, quando ho detto che io ero Seiya Daniels, siete scoppiati a ridere. C'era una donna con voi. E' venuta da me, mi ha fissata con odio. Ed ha detto che Lei era Seiya Daniels... Ed io... io mi sentivo pugnalare dentro. Non ricordo neppure perché, non ricordo come accadde. La pugnalai. Il mio coltello le penetrò lo stomaco da parte a parte, sotto gli occhi di tutti voi. Cadde a terra senza un filo di sangue. Io iniziai a sanguinare.
Scappai. Scappai da lì continuando a sanguinare, ma senza provare il minimo dolore.
Scappai correndo fino a raggiungere casa dei miei nonni. Entrai e mi chiusi a chiave dentro. Ero angosciata, disperata, distrutta. E non capivo. Non riuscivo a capire. Nessuno... Nessuno mi riconosceva.
C'erano altre al posto mio, in ogni posto che io avessi mai vissuto. Per ogni persona che avessi mai conosciuto. Ne ero certa. Poi ho sentito un rumore. Mia sorella scese le scale, si trovò davanti a me che ancora restavo sulla soglia. Si sarebbe spaventata nel veder tutto quel sangue, pensai.
Ma lei non si spaventò. Non si mosse. Semplicemente, mi guardò. E mi chiese chi fossi... Avrei voluto morire... Urlai, lo ricordo perfettamente. Urlai.
E svanì tutto. La ferita sanguinava ancora, sempre più copiosa. Ed il sangue ricopriva il nulla e lo rendeva un nuovo lago. Il Lago di Sangue era di nuovo intorno a me, ma questa volta  il sangue era il mio... E piano piano,
iniziò ad affiorare qualcosa sulla superficie. Teste. Tante teste. Teste, volti tutti uguali. Ero io.
Ero sempre io. Mille e più me che affioravano dal Sangue. Ed erano tutte morte... Lo erano, ne ero certa. Però uscirono da Sangue, restarono in piedi sul Lago. E tutte iniziarono a ripetermi la stessa domanda... La stessa
voce, la mia voce, ripetuta all'unisono, all'infinito:
"Chi sei tu?"
Volevo scappare.
"Chi sei tu?"
Corsi via, tappandomi le orecchie.
"Chi sei tu?"
Ma ovunque andassi c'erano le altre me che ripetevano la stessa domanda.
"Chi sei tu?"
Poi vidi in lontananza i Cerchi Concentrici.
"Chi sei tu?"
Credetti di aver nuovamente trovato la salvezza.
"Chi sei tu?"
Posai il piede sui Cerchi Concentrici.
"Chi sei tu?"
E caddi. Caddi in un baratro che non c'era.
Caddi in una stanza vuota, scura. Ma muta. Muta.
"Chi sei tu?"
Le sentii...
"Chi sei tu?"
Erano altre voci, non era la mia.
"Chi sei tu?"
Erano ombre, ombre indistinte.
"Chi sei tu?"
Riconobbi alcune voci.
"Chi sei tu?"
Vecchi amici, vecchi colleghi.
"Chi sei tu?"
Nuovi amici, nuovi colleghi.
"Chi sei tu?"
Tutti. Tutti lì.
"Chi sei tu?"
Tutti a farmi la stessa domanda.
"Chi sei tu?"
Gridai. Gridai.
"Chi sei tu?"
Gridai di nuovo. Non volevo sentirli più.
"Chi sei tu?"
Stavo impazzendo. lo so. Forse ero già impazzita.
Poi il mio angelo mi ha svegliato. E mi ha chiamata per nome mentre mi diceva di aver avuto un incubo. Mi ha chiamata Seiya..."
Un'ultima sorsata. Il terzo bicchiere fu vuoto. Chiuse gli occhi per un attimo. Il Lago di Sangue era ancora lì... In fondo sapeva che ci sarebbe rimasto. Riaprì gli occhi. Guardò i compagni. Sorrise con naturalezza.
"Stasera mi darete dell'alcolizzata, ma vado a prendermene un'altra... Fortuna che ho sempre retto l'alcol molto bene."
L'alcol sì. I sogni un po' meno...