Incubi
Freddo. Per la
prima volta, dopo seicento anni, provava un freddo bruciante.
Sentiva il proprio cuore battere lentamente, il sangue troppo
denso e gelido per scorrere nelle vene. Stava morendo. Ma non
sarebbe morto. No. Non prima di aver raggiunto quella voce. La
voce voleva mostrargli qualcosa. Era stata la voce a svegliarlo.
Era venuta di giorno. Lui dormiva e il sole era alto nel cielo.
Da qualche parte, intorno a lui, un trillo era risuonato nel
buio. Un trillo acuto, che si era trasformato in una risata
cristallina. Quella voce l'aveva preso per mano, e l'aveva
guidato verso la luce. La luce non era la risposta. La luce è
la morte, per un vampiro.
Così lui era fuggito, rintanandosi fra le tenebre. Al sicuro.
Ma la voce era tornata. Lo aveva chiamato, e lui non aveva
risposto. Lo aveva pregato e deriso, ma lui l'aveva ignorata
ancora. Allora aveva sussurrato un nome. Un nome che bruciava
nel cuore del vampiro come un ferro rovente, spillandogli
lacrime sanguigne. Aveva seguendo quell'eco nel nulla,
arrancando in un'oscurità troppo fitta. Troppo, anche per i
suoi occhi di demone.
La sua pelle non bruciava più, ma il suo cuore gemeva,
attanagliato dal gelo e dall'angoscia. La sua corsa sembrava non
avere fine. E quando finì, desiderò che non fosse mai
iniziata.
La risata apparteneva realmente ad un bimbo. No. Non
esattamente. Alla fine del tunnel, in una pozza di luce, lo
aspettava una bambina. Una bionda creatura, che lo guardava con
occhi famelici e un ghigno abominevole, nel suo vestitino
plissettato e quasi decomposto.
Ma quella non era una bambina. Era solo la caricatura di un
orrore. I soffici boccoli erano incrostati di grumi color
ruggine. La pelle candida di mani e braccia venata di secchi
rivoli scarlatti.
Ai suoi piedi, la Cacciatrice giaceva nel suo stesso sangue. La
sua gola era aperta in profondità. La sua pelle era incolore e
traslucida. Gli occhi rivoltati sembravano perle rare. Un premio
per lui.
La bimba smise di ridere, guardandolo da sotto la frangia
incrostata.
Gli sorrise. Poi parlò.
- Io sono Arioch - disse. Nessuno che appartenesse a questo
mondo poteva vibrare una voce simile. Nessuno che fosse vivo, e
di carne.
- Io sono Arioch. Io vendico - ripeté. Poi rise ancora. E la
sua risata si gonfiò, nutrendosi dell'orrore di Guy come un
rospo famelico, divorandolo, precipitandolo in un'oscurità che
non aveva più pareti.
L'unica cosa che potesse fare era urlare. E così urlò. Gridò
il suo nome disperatamente. Lux. Poi l'oscurità tornò ad
avvolgerlo.
Quando aprì gli occhi, faticò a riconoscere la sua stessa
casa.
Guy D'Aguillon, un Maestro di novecento anni, era rannicchiato
in un angolo della sua dimora. Le sue labbra erano tese sulle
zanne snudate, gli occhi stretti in due fessure sconvolte. Le
sue mani, come artigli, avevano scavato la pietra e il metallo,
ancorandosi nelle mura come infissi di carne. Il suo petto si
gonfiava ritmicamente, rilasciando brevi rantoli furiosi e
sofferenti.
Ad un tratto la certezza di
non essere solo lo assalì. Come era certo dei rantoli brucianti
che gli gonfiavano il petto, fu certo che qualcuno lo osservava.
Qualcuno, o qualcosa, di infinitamente antico.
- Ti è piaciuto il mio sogno? - le parole provenivano
dall'angolo opposto della stanza. La qualità roca e al contempo
cristallina della voce di Miranda era un enigma per Guy. Ancor
più dei buchi neri, dei secoli bui dell'alto Egitto o della
vampira stessa.
- Perché? Che cos'era? Che cos'era, Miranda! - la sua voce si
spezzò in un acuto innaturale. Terribilmente umano, pensò. Ma
il nugolo di ombre che lo fissava con occhi infuocati non
sembrava avervi fatto caso. Se ne stava lì, accosciata sul
pavimento, il corpo esile affondato in un voluminoso intrico di
sottane. Nere, come i lunghi capelli corvini. Come le ombre con
cui, Guy era certo che non fosse una semplice illusione, si
fondevano. Solo i suoi occhi spiccavano di luce. Finestre
sull'inferno, ora concentrate su qualcosa di piccolo e morbido
che teneva in grembo. Le mani, bianche come avorio e dure come
granito, carezzavano con cura innaturale una bambola vittoriana.
La scena appariva disarmante. Una bimba di porcellana, con la
sua mamma di porcellana.
Ma, riconquistando il controllo di sé,
Guy si rese conto che la bambola era sgualcita e incrostata.
Strappata e mutilata in più parti. E priva della testa. Miranda
gli sorrise.
- Arioch desidera la tua Cacciatrice. Qualcuno l'ha chiamato per
lei. La bambina è la chiave. Trova la bambina, figlio -
Miranda aveva appena terminato la frase, quando i colpi di Lux
risuonarono all'interno del loft. Solo per un attimo, gli occhi
del vampiro saettarono all'esterno. Quando riportò lo sguardo
tra le ombre, erano immobili. Miranda era svanita. Ma aveva
lasciato un dono.
A qualche metro da lui, qualcosa di tondo e duro rotolava sul
pavimento di legno. Una sfera di porcellana, modellata e cotta
per essere il viso di una bambola. Decorata con il trucco e i
capelli di una vera dama vittoriana. Eppure, Guy conosceva quei
capelli biondi. Gli occhi verdi ed il sorriso ampio. L'aria
curiosa.
Rigirò fa le dita quella riproduzione del volto di Lux,
inorridito ed incantato allo stesso tempo. Poi si alzò ruggendo
come un animale, e lo schiantò contro il muro con tutta la sua
forza. Un Kandinsky originale esplose all'impatto della piccola
sfera di terra cotta, rovinando a terra in grossi frammenti. Sul
muro, la crepa biforcuta gli ricordò che tutto sommato era il
caso di calmarsi.
A qualche chilometro di distanza, Lux aveva appena finito di
martoriare il suo sacco, quando notò la spilla di Demos
illuminarsi. L'afferrò e tentò di comunicare con il misterioso
interlocutore, ma ciò che sentì non può essere paragonato ad
alcuna percezione che i suoi sensi acutissimi potessero
fornirle. Il grido che si levava dalla sua stessa anima, e le
dilaniava la mente, non era il frutto di una gola martoriata.
Non era il grido di una voce. Era la disperazione di un Vampiro
vecchio come un'era, che invocava il suo nome da un luogo troppo
lontano ed oscuro per essere nominato.
- Guy - riuscì soltanto a dire con un filo di voce. Lo sentì
gridare, urlare il suo nome, e subito le si gelò il sangue
nelle vene.
Era preoccupata per il vampiro, anche se lui non aveva bisogno
di essere
difeso e lei era la Cacciatrice, ma senza pensarci due volte
prese la giacca
di pelle e così com'era uscì di casa correndo. Che gli fosse
successo qualcosa di terribile? Cercò di scacciare quel
pensiero dalla mente e salì in macchina partendo a tutta
velocità verso il suo appartamento.
Era il colmo, lei che avrebbe dovuto ucciderlo stava andando da
lui per
salvarlo e aiutarlo se ce ne fosse stato bisogno. Non ci mise
molto tempo a raggiungere l'edificio in Liberty Island. Saettò
verso l'ascensore senza neanche dare il tempo al portiere di
identificarla, e giunta al piano di Guy si abbatté contro la
porta, quasi sfondandola con i pugni protesi.
Al di là del battente ormai spalancato, il padrone di casa se
ne stava ritto in mezzo alla stanza, immobile. Sul volto, uno
sguardo indecifrabile.
- Ciao - riuscì a dirle. Poi la invitò ad entrare.
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