[Stml17] [06.0X] Lon Basta - Qualcosa cui appartenere

Silvia Brunati sbrunati a gmail.com
Mar 14 Mar 2017 13:51:43 CET


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Brano: 06.0X

Titolo: Lon Basta – Qualcosa cui appartenere

Autore: Tenente JG Lon Basta (Silvia Br.)

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*Punto di Imbarco – Cantieri di Utopia Planitia- 20 Novembre 2395 - Ore
00:00*

Sapeva che l’avrebbe trovata lì ad osservare la nave che sarebbe potuta
diventare la sua nuova casa, la *loro *nuova casa. Ascoltò il rumore del
mare increspato che erano i sentimenti di lei e per un secondo valutò
l’idea di restare così, semplicemente a guardarla e basta, ma sarebbe stato
da vigliacchi spiare, perciò si avvicinò.

“Cos’hai intenzione di fare?” Nessuna sorpresa nella voce di lei, come se
si fossero dati un appuntamento. Lon Basta si appoggiò al corrimano
osservando le linee eleganti dell’astronave e strinse le spalle. Era sempre
stato così con l’adesso ‘tenente Junior Grade Melanne Graahn’, se non
sapeva come risponderle, si limitava a stare zitto piuttosto che fingere
sicurezze che non aveva. Non mentiva, non con lei.

“Tu?”

Il pugno lo colpì sulla spalla strappandogli un sorriso. “L’ho chiesto
prima io!”

Lon prese tempo. Aveva sempre dato per scontato che una volta diplomati
avrebbero preso strade diverse, non si era mai concesso il lusso di credere
che sarebbe stato altrimenti ed era rimasto totalmente spiazzato dal
miscuglio di sentimenti che l’aveva investito all’annuncio dell’ammiraglio:
Si girò a guardarla.

“Non lo so”, rispose onestamente. *Non so cosa farai tu, voglio che tu me
lo dica così sarà più facile per me scegliere*, aggiunse solo nella sua
testa.

L’increspatura del mare si trasformò in tanti torrenti che percorrevano
strade diverse, piene di possibilità, Melanne sospirò fissandosi le mani.
Lon cercò di non farsi spaventare da quel mare.

“Hai sempre detto di volere un’assegnazione in prima linea”, mormorò lei
dopo qualche secondo, “la Hope non è certamente quello cui aspiravi”.

“Scherzi? Con Bueller come capitano finiremo nei guai nemmeno un’ora dopo
aver lasciato il cantiere”.

Melanne sorrise.

“Il problema non è lui”, continuò Lon esitando impercettibilmente prima di
aggiungere "ma chi altro deciderà di accettare…”

“Intendi Rest?”

*No!* Ma ora che lei l’aveva nominato si rese conto che c’era la
possibilità che, se avesse scelto la Hope, avrebbe avuto ancora a che fare
con il vulcaniano. Non aveva dimenticato come Rest l’avesse manipolato e la
cosa gli bruciava ancora parecchio. Strinse le labbra incupendosi.

“L’universo è pieno di persone ambiziose”, lo sgridò Melanne, “il tenente
Rest non sarà il primo ne l’ultimo che attraverserà la tua strada”.

Lon rispose con una smorfia infastidita, “posso rimettere al loro posto
persone come lui, l’ho fatto già molte altre volte”.

“Non puoi sempre usare i pugni”.

“Perché no? Funzionano”.

“Sei un ufficiale adesso”.

“Non significa che io indossi i guanti”.

“Ma rischi molto di più di una reprimenda!”

“Sei preoccupata per me?” Le chiese con un sorrisetto provocatorio.

“No! Certo!”

“Non farò nulla di stupido”.

“Ah!”

I torrenti erano sempre li, ma nel cielo era spuntato il sole.

Lon sorrise divertito, Melanne sbuffò.

“Sarai a bordo della Hope?” Le chiese a bruciapelo

“Tu?”

“L’ho chiesto prima io stavolta”.

“La Hope è una possibilità intrigante, ce ne sono molte altre però”.

Lon nascose la propria irritazione per quella risposta. Non poteva
costringerla a scegliere, ma sarebbe stato di gran lunga molto più semplice
per lui se lei l’avesse fatto.

“Vero”, annuì alla fine senza aggiungere altro.



*Terra – San Francisco – Complesso Residenziale “Last Hope” - 20 Novembre
2395 - Ore 03:00*

Nuvole nere minacciose illuminate da lampi improvvisi del colore della
passione che non rischiarano nulla dando solo un sollievo temporaneo. E poi
un tuono di una tale potenza da scuotere la terra che si ripercuote nel
corpo. Uno solo, sufficiente ad affrettare il respiro e a trattenere un
grugnito di soddisfazione che si conclude con un ansimare soddisfatto.

“E’ stato fantastico”.

Lon aprì gli occhi per fissare incredulo quelli scuri della donna seduta a
cavalcioni su di lui. Falso, ma era brava a mentire, qualcuno diverso da
lui ci sarebbe cascato. Girò la testa per evitare le labbra di lei e
allungò la mano per recuperare il bicchiere. Lei interruppe il gesto con
una smorfia seccata che scomparve immediatamente quando lui tornò a
guardarla. Lon sapeva che avrebbe dovuto darle qualcosa di più, ma non era
nelle sue corde, soprattutto non quella notte. Rimasero perciò così, in
silenzio, ancora per qualche secondo: il betazoide che beveva lentamente e
la terrestre che lo fissava accarezzandogli il collo. Le nubi erano
scomparse lasciando solo il buio della notte in cui non comparivano stelle,
nemmeno quella di lei, che aveva brillato in maniera accecante quando
l’aveva vista. Lon le passò due dita sul viso cercando di nuovo quello
splendore, ma si rese conto che era stata solo un’illusione.

“Devo andare”, con un gesto quasi infastidito si staccò dall’abbraccio e la
spinse all’indietro.

“Di già?”

“Già”, rispose fingendo di non vedere la delusione sul volto della ragazza.

“E’ ancora buio fuori”, protestò lei, “avevi detto di avere tempo fino a
domani mattina!”

“Non ho fatto alcuna promessa”, ribatté in tono calmo Lon mentre si
rivestiva ignorando deliberatamente l’improvviso agitarsi della nebbia che
ora la rappresentava. L’espressione di lei non corrispondeva affatto a
quello che pensava veramente, nulla di lei, lo faceva. Lon l’aveva capito
non appena l’aveva vista e gli era andata bene così. Non cercava onestà,
solo sesso. Con un sorriso cinico le accarezzò nuovamente il viso.

“Troverai di meglio”.

“Non come te”, falso, di nuovo, ma comunque gratificante. Il sorriso di Lon
si addolcì leggermente, “non siamo andati oltre la cucina”, si lamentò lei.

“Non è poi andata così male, in cucina”. Ironizzò lui.

A quella battuta lei storse il naso, “sei incredibilmente irritante per
essere un betazoide”.

“Sono fatto così”.

Lei sbuffò mentre lui recuperava la giacca da terra. “Prima o poi qualcuno
ti strapperà dal viso quell’aria da duro”.

“Non mi sembra che ti sia dispiaciuta poi così tanto prima”, ribatté Lon
afferrandola per la vita.

“Non dovevi andare?” Nella nebbia si accesero deboli luci di speranza, ma
Lon le scacciò via con un bacio prepotente che sapeva di addio, poi la
lasciò di botto.

“Esatto”.

Non attese di sentire la porta chiudersi alle sue spalle per allontanarsi
dal grigiore che minacciava di avvolgerlo e catturarlo, il rumore di
qualcosa che andava in pezzi portò con se anche un vago senso di colpa che
lui si affrettò ad allontanare infastidito. Sarebbe stato facile per lui
nascondersi in quel mare di nebbia che rappresentava le emozioni della
ragazza e dimenticare chi era ancora per qualche ora; non era la prima
volta che lo faceva e non sarebbe stata l’ultima. Non era così però che
avrebbe preso la sua decisione.

Mentre l’ascensore lo portava al piano terra, le luci della città
disegnarono sul suo viso combinazioni di colori che andarono a fondersi con
quelli che gli affollavano la testa. Li allontanò con un gesto irritato.

Se Melanne gli avesse risposto invece di batterlo al suo stesso gioco non
avrebbe vagato per San Francisco in preda alla frustrazione e non avrebbe
cercato qualcuno con cui sfogarla. Inutilmente. E ora non sarebbe stato
ancora nell’incertezza.

Aveva sempre saputo che una volta diplomati avrebbero intrapreso strade
diverse, solo ora si rendeva conto però che avrebbe potuto non vederla per
mesi, anni, mai più e questo non gli piaceva per nulla. *Idiota*.

Alzando il bavero della giacca si incamminò lungo la strada sotto il cielo
di un mattino che sapeva ancora di notte.

Melanne era stata la sua prima vera amicizia in accademia, l’unica vera
amicizia. C’erano state persone con le quali aveva legato, ma senza mai
arrivare a più di qualche battuta. Lui poneva i confini e lui decideva fino
a che punto potevano spingersi gli altri. Certe volte pensava che se non ci
fosse stato quell’incidente durante l’addestramento, se loro due non si
fossero trovati da soli a dover risolvere una situazione drammatica e lei
non gli avesse gridato di smettere di fare lo stupido e collaborare con
lei, non sarebbero mai diventati amici. Sarebbe stata una perdita davvero
enorme per lui. Enorme.

Poteva continuare senza di lei?

Si fermò in mezzo alla strada improvvisamente nuovamente conscio della
città attorno a se. Certo che si, concluse seccamente riprendendo a
camminare e si fermò di nuovo. Certo che no. Ammise. Non come era stato
finora, si corresse. Inspirò a fondo e chiuse gli occhi lasciando per un
istante che la tavolozza di colori che era San Francisco lo riempisse di
nuovo. Sarebbe stato solo.

Certo che no. Aprì gli occhi di scatto sorpreso.

Nel momento stesso in cui aveva legato, seppur in modo strano, con Tucci;
quando aveva coperto Rodriguez proprio all’imbarco sulla Hope; ammirato
silenziosamente l’abilità e la spavalderia di Luna; continuato a sfuggire
all’attenzione del consigliere Caytlin, pur tenendola d’occhio quando si
lanciava nelle sue intuizioni. Quando si era stupito per le capacità di
Doohan ed aveva imparato a rispettare la serietà e la forza di Xy; persino
nell’accettare i folli piani di Bueller, aveva di fatto smesso di essere
solo.

In quell’anno a bordo della Hope aveva, volontariamente o meno, ammesso
altre persone nella sua cerchia ristretta, che loro lo sapessero o meno. Il
suo baricentro si era semplicemente spostato da se stesso alla nave.

*La nave.*

Si accigliò.

No, non sarebbe stato solo se avesse scelto di tornare sulla Hope, non del
tutto almeno. Certo, c’era anche la possibilità che nessuno degli altri
avrebbe accettato l’offerta dell’ammiraglio. Un sorriso scettico gli si
disegnò sul viso: figuriamoci se Bueller avrebbe rinunciato ad un’occasione
del genere, fresco d’accademia e già capitano. No, lui era quasi una
certezza, come probabilmente Luna. Riprese a camminare.

Il punto non era se avrebbe ritrovato le stesse persone, ma se avrebbe
sentito lo stesso senso di appartenenza su un’altra nave. Anche se,
concluse con una smorfia mentre accelerava il passo, se almeno avesse avuto
la certezza che Melanne sarebbe stata a bordo, la sua decisione sarebbe
stata molto molto più facile.



*Terra – Accademia Flotta Stellare - Ufficio Ammiraglio Evelin Lennox - 20
Novembre 2395 - Ore 09:00*

Lon Basta fissava l’ammiraglio Lennox cercando di farsi largo fra i rami
che formavano intrecci impossibili nella sua mente. Erano solo le nove del
mattino e già era a quel livello di concentrazione? Si chiese stupito
cercando di mantenere la sua espressione impassibile.

“Signor Basta, si accomodi”.

Lon obbedì, suo malgrado intrigato, continuando ad osservala mentre lei
posava il padd che aveva tenuto in mano e gli sorrideva. Quello sguardo gli
parlò all’improvviso di Betazed, silenzi, parole non dette, unione, casa,
ma fu un attimo poi il complesso intreccio di rami tornò quello che era e
lui si ritrovò nuovamente davanti ad un superiore con un’improvvisa
nostalgia.

“La sua decisione?” Gli chiese l’ammiraglio senza preamboli.

“Accetto l’incarico”, rispose lui altrettanto rapidamente.

L’ammiraglio annuì senza dire altro. Non serviva, entrambi sapevano che se
lui avesse voluto aggiungere qualcosa l’avrebbe fatto e che se lei avesse
voluto sapere qualcosa di più non avrebbe dovuto che chiederlo. “Può andare
tenente”.

“Grazie signore”, Lon si alzò andando verso l’uscita.

“Tenente?”

“Si ammiraglio?”

“Chiami i suoi parenti ogni tanto”.

Basta fece per dire qualcosa, poi chiuse di scatto la bocca ed uscì.


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Tenente J.G. Lon Basta
Capo Sicurezza
USS Hope NCC 25122-A
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Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano
occupati. Bertolt Brecht
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