[Stml17] [09.07 – Graahn – Fratelli]
Maddalena
vampitrill a gmail.com
Sab 10 Feb 2018 19:46:45 CET
Ecco qua. Spero vi piaccia. Non è lunghissimo, ultimamente faccio
veramente fatica a scrivere, non so perchè. Non ho toccato la questione
del diario per il momento. Onestamente non avevo idee su come inserirlo.
In compenso, ho azzeccato il mio nome!
.................................
*U.S.S. Hope, Infermeria, 08/11/2396, ore 07:52*
Un solo tentativo sia per andare che per tornare non sembrava
eccessivamente promettente. Ma quando mai, dall’inizio della loro
missione, qualcosa era sembrato promettente?
La risposta sembrò materializzarsi contemporaneamente nelle menti di
tutti i presenti, come se un’insegna a led lampeggiante fosse comparsa
improvvisamente nell’aria tra i lettini. Tutti loro la fissarono per
qualche secondo, poi ognuno prese a muoversi automaticamente verso la
propria postazione in un meccanismo così ben collaudato e coreografato
che persino Xyr, in una delle sue giornate buone, ne sarebbe stata
orgogliosa.
Anche Rest, preso dal senso di generale devozione alla causa, fece per
alzarsi, attirandosi le ire della Graahn, che calò su di lui come un
falco, in volto un cipiglio da Generale Patton delle Aspirine un po’
spaventoso e un po’ ridicolo.
“Di preciso, lei dove pensa di andare?” gli domandò, sbarrandogli
fisicamente il passo.
“In plancia, Dottoressa.”
“Non credo proprio,”
“Ma Dottoressa, il signor Rest ci sarebbe estremamente…” iniziò Bueller,
l’unico che non aveva tentato di confondersi con la paratia. Per quanto
Melanne fosse dolce e poco minacciosa, tutti temono i medici.
La dottoressa si voltò verso di lui. “Capitano, il signor Rest è un mio
paziente e nello stato attuale non ritengo che sarebbe saggio lasciarlo
tornare ai suoi doveri.”
Una lieve sfumatura nel consueto tono cauto e remissivo della Graahn
fece decidere a Bueller che quella non era una battaglia che valesse la
pena di provare a vincere, almeno per il momento. Il Capitano gettò a
Rest un’occhiata di scusa e se ne andò.
Il resto degli ufficiali superiori non confinati in infermeria si
affrettò a seguirlo. Melanne si voltò nuovamente verso Rest.
“Le concedo al massimo un collegamento via comunicatore. Ora, se ne
torni a letto.”
“Non è adorabile quando si arrabbia?” borbottò Ferris, appena fuori
dalla porta.
*Pianeta Demone – Paelyrion - Contemporaneamente*
Accanto alla porta della cella che Tucci aveva deciso di riarredare, Ar
Akul era immobile e fissava impassibile le file di equazioni che
decoravano le pareti. Era difficile interpretare la sua espressione, per
quanto Xyr ci avesse provato durante i loro incontri. Non le era chiaro
se il cosiddetto Maestro capisse quello che stava leggendo meglio di lei
e Luna o se stesse solo fingendo. O se la cosa gli importasse in qualche
modo.
Le informazioni che aveva faticosamente racimolato su di lui grazie ad
un attento lavoro di analisi psicologia e al glaciale autoimposto
autocontrollo che le aveva impedito di saltargli addosso e strappargli
gli occhi a mani nude, indicavano solo che Ar Akul aveva bisogno di
aiuto per riparare un marchingegno e che quest’ultimo stava molto a
cuore. Non era chiaro, tuttavia, né a cosa servisse, né se lui avesse
idea della sua meccanica o del suo funzionamento.
Tucci, dal canto suo, sembrava totalmente estraneo alla situazione. Xyr
in un certo senso lo invidiava. La sua capacità di immergersi
completamente nei calcoli e nelle sue teorie era probabilmente quello
che gli stava impedendo di perdere la testa.
L’ufficiale scientifico era al momento impegnato con l’angolo in basso a
sinistra della parete di fondo della cella. Con un sospiro, incise un
ultimo carattere poi sedette sul pavimento ad ammirare la sua opera. Il
coltello giaceva abbandonato accanto a lui, cosa che, a parte a Tucci
stesso, non era indifferente a nessuno.
“Finalmente è tutto chiaro, adesso.”
Sembrava davvero soddisfatto di sé e, in qualche modo, in pace con
l’ambiente circostante e con la situazione attuale.
“Allora, puoi ripararlo,” disse Ar Akul. Il suo tono era soffice, quasi
suadente, come quello che aveva usato all’inizio del loro soggiorno con
Xyr. Per l’occasione era vestito completamente di nero e oro, compresa
la maschera riccamente decorata che indossava.
Tucci si voltò nella sua direzione.
“No, non credo proprio,” rispose serenamente.
*U.S.S. Hope, Infermeria, 08/11/2396, ore 08:13*
Sforzandosi di mantenere un tono il più possibile sereno, Bueller si
sistemò meglio sulla poltrona di comando e diede l’ordine che tutti
stavano aspettando. “Va bene, tutti ai propri posti, E tenetevi forte.”
L’aria in plancia era così densa che si sarebbe potuta tagliare con il
coltello. Quello che stavano per fare era pericoloso oltre ogni
ragionevolezza e avevano una sola possibilità per provarci. Se anche ci
fossero riusciti, avrebbero dovuto ripetere l’intero teatrino al
contrario senza avere la minima idea di quello che li aspettava
dall’altra parte e che avrebbe potuto tentare di ostacolarli. Senza
nulla togliere al secondo timoniere, inoltre, quella era decisamente il
tipo di situazione in cui sarebbe stato necessario avere a disposizione
il miglior pilota a bordo. Ovviamente, Luna non era lì e non c’era
nessuna garanzia, in effetti, che ci sarebbe stata per il rientro.
Infine, come se non bastasse, per ottenere tutti i pezzi necessari
avevano intrapreso una serie di azioni non esattamente legali. Per cui
se fossero riusciti a sopravvivere, la Lennox li avrebbe ammazzati di
sicuro.
Cosa mai poteva andare storto?
“Rotta tracciata, Capitano.”
“Dalla sala macchine cosa dicono?”
“Che se la nave va in pezzi, non sarà colpa loro.”
“Ottimo, mi ricorderò di annotarlo nel mio diario di bordo.”
“Ammesso che ne esista ancora uno,” mormorò Caytlin, al fianco di Bueller.
“Andrà bene,” commentò lui con la migliore aria baldanzosa che riuscì ad
ostentare. “Timoniere, andiamo.”
*Pianeta Demone – Paelyrion - Contemporaneamente*
“Oh, andiamo…” borbottò Luna a bassa voce.
L’affermazione di Tucci era rimasta sospesa nell’aria per diversi
secondi, prima che qualcuno si azzardasse a parlare. Lui non sembrava
esattamente consapevole del genere di reazione che il suo commento aveva
suscitato, ma tutti gli altri, salvo forse i due giganti a guardia delle
celle, lo erano anche troppo.
Ar Akul parlò di nuovo, ma questa volta Xyr avvertì una nota minacciosa
nel suo tono che non le piacque affatto. Sentì Luna muoversi leggermente
nella sua cella, accompagnata da uno sferragliare di catene e ceppi, e
capì che doveva averlo avvertito anche lei.
“Credevo avessi detto che avevi compreso.”
“Infatti è così,” rispose Tucci.
“Dunque, puoi ripararlo.”
“No, non credo,” ribadì lo scienziato. “Non sono un ingegnere. Posso
comprendere la teoria, posso anche spiegargliela se lo desidera, ma
aggiustare un marchingegno del genere richiede attrezzatura, tempo e
abilità specifiche. Io non li ho, tranne forse il tempo. E lei?”
Non si trattava di una domanda retorica. Tucci sembrava genuinamente
curioso di conoscere la risposta.
Ar Akul continuò a rimanere assolutamente immobile, poi fece lentamente
un passo indietro e scomparve nuovamente tra le orme.
Tucci si voltò verso Xyr e Luna, che intravedeva appena attraverso le
porte aperte delle celle. “Ho detto qualcosa che non va?”
*U.S.S. Hope, Infermeria, 08/11/2396, ore 08:32*
“Cosa c’è che non va?”
Nel momento in cui lo schermo era stato invaso improvvisamente dai gas
della nebulosa e i sensori avevano confermato il successo della loro
operazione, le luci avevano preso a lampeggiare e si erano spente per
alcuni secondi. Uno scossone aveva percorso l’intera nave, arrivando
fino in plancia. Un paio di consolle avevano spruzzato scintille tutto
intorno. Le luci di emergenza erano scattate subito dopo.
“Rapporti danni dai ponti 3, 4 e 7,” riferì Basta dalla sua postazione.
“Nessun danno grave, nessun ferito.”
“Siamo arrivati?”
“Sì, sembra di sì. Rileviamo di nuovo la nebulosa, ora, e anche il pianeta.”
“Dovremmo raggiungerlo in circa un’ora, se non succede altro,” si inserì
il timoniere.
“Ci sono tracce della nostra navetta?” domandò il consigliere, mentre le
luci lampeggiavano e si riaccendevano.
Basta scosse appena la testa e sembrò riflettere per qualche istante
sulla risposta. “I sensori non rilevano nulla. Nessuna nave nelle
vicinanze. Ma c’è qualcosa.”
“Qualcosa? Qualcosa di che genere?”
Tutti gli sguardi dei presenti si fissarono sul betazoide. Basta
avvertiva qualcosa, una presenza oltre a quelle dei presenti a bordo
della nave. Era una sensazione insolita, non sembrava provenire da un
punto in particolare, era come diffusa intorno a loro, come se il
profondo cremisi pulsante che avvertiva venisse dallo spazio stesso, dai
gas della nebulosa.
“Non so spiegarlo,” ammise. “C’è qualcuno qui, nella nebulosa. Diverso
da chiunque io abbia incontrato prima.”
“E i nostri sensori non lo rilevano?”
“No, sembra di no.”
“Ottimo,” sospirò Bueller.
*Pianeta Demone – Paelyrion - Contemporaneamente*
“Davvero ottimo,” ripetè Ar Akul, un sorriso soddisfatto che gli si
allargava sulle labbra. “Pare che i nostri ospiti siano pieni di
risorse. Se lo scienziato non può riparare la nostra macchina, qualcuno
a bordo della sua nave certamente potrà.”
L’ancella che quel giorno assisteva il Maestro sorrise a sua volta,
osservando lo schermo. La Hope sembrava brillare leggermente sullo
sfondo cupo della nebulosa, un punto bianco pieno di promesse. Abbassò
gli occhi sul pannello di controllo lì accanto, verificandone la
posizione, e il suo sorriso languido scivolò via, rimpiazzato
gradualmente da un’espressione di intenso terrore. Tenne lo sguardo
basso, incapace di sollevarlo ad incontrare quello del suo padrone.
“Che cosa succede?”
La voce del Maestro tagliò l’aria come un’accetta. Chiaramente aveva
percepito il cambiamento nelle emozioni della donna. “Cosa rilevi?”
Lyn aprì la bocca due volte senza che ne uscisse alcun suono.
“Parla, donna!”
“Loro… loro sono qui, Maestro.”
“Loro?”
“I tuoi fratelli…”
-------------- parte successiva --------------
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