[Stml9] [8.00] Enizia - Fusione bollente nello spazio gelido

Cap.EniziaGishna cap.eniziagishna a gmail.com
Ven 23 Mar 2018 22:22:30 CET


Buona sera a tutti,

ecco qui il mio brano aggiornato e corretto


[8.00] Enizia - Fusione bollente nello spazio gelido


USS Baffin - Plancia
23/03/2398 Ore 21.00 - DS 75224.32

Silenzio.
L’assordante silenzio fu la prima cosa che colpì le orecchie del 
Capitano Enizia Gishna. Non c’era mai quella totale assenza di rumore su 
una nave stellare. Nei turni notturni, quando la vita a bordo 
rallentava, se non altro permaneva il ronzio. Quella bassa costante 
vibrazione dei motori attivi, che si trasmetteva a tutta la nave e che 
veniva percepita dal corpo e dagli organi uditivi.  C’era il basso 
ronzio, la vibrazione costante che si trasferiva a tutta la nave quando 
i motori erano attivi. Nei turni diurni poi a questo si sommava il 
rumore della vita che scorreva, del personale di bordo in movimento, del 
chiacchiericcio dello snodarsi della quotidianità.
Ore c’era solo silenzio.
Temeva di essere diventata sorda. E posto che fosse vero cosa le aveva 
provocato quella improvvisa perdita di udito? Cercò di concentrarsi e 
tornare indietro a… prima… ma l’ultimo ‘prima’ che ricordava era entrare 
in plancia. Dopo quello era come se il suo cervello non avesse computato 
nulla, nessun input.
Cercò di percepire la sua posizione con le sue appendici sensoriale 
aggiuntive, ma le antenne sembravano… morte. Perse non le aveva perché 
non percepiva quel senso di sbilanciamento tipico della mancanza di un 
riferimento. Quello che nei terrestri e nelle razze prive di antenne era 
associabile ad un danno degli organi uditivi che persino lei sapeva 
essere chiamato labirintite.
La sua testa divagava. Sembrava impossibilitata a concentrarsi su 
qualcosa, come stordita da qualche agente esterno.
Dato che non riusciva ad avere informazioni utili dalle antenne proseguì 
nel suo silenzioso controllo cercando di aprire gli occhi.
Buio.
Non riusciva ad aprire gli occhi oppure si erano aperti ed era diventata 
cieca oltre che sorda? Non sentiva e non vedeva oppure il suo corpo non 
stava rispondendo agli ordini impartiti dal cervello?
I suoi occhi si erano aperti o no?
Le sue terminazioni nervose sembravano essere tutte disattivate. Non era 
in grado di dire se il suo corpo stesse o no rispondendo ai comandi. Non 
lo percepiva… non si percepiva!
Una bambola. Non era altro che una bambola senza alcuna possibilità di 
iterazione con un mondo esterno a lei che magari stava usandola o 
manipolandola… una bambola dotata di vita e, di conseguenza per il suo 
modo di vedere l’universo, di una coscienza. L’anima non era mai stato 
terreno su cui avesse provato interesse ad inoltrarsi.
Era vittima di una perdurante e torturante deprivazione sensoriale. Era 
questo che stava succedendo? La stavano torturando? Cosa volevano da lei?
Il primo nucleo di emozione a generarsi da qualche parte dentro di lei 
fu ansia. Un’ansia feroce che si fece strada dentro di lei. Avrebbe 
voluto scappare urlare stringere i pugni e lasciarli andare con violenza 
su chiunque le stesse facendo quello. Odiava essere messa all’angolo, in 
qualunque modo. Tutti i richiami formali ricevuti per essersi difesa 
fisicamente stavano li a dimostrarlo.
L’ansia lasciò presto il posto ad un’emozione ben più violenta, la 
rabbia. Quella rabbia che ancora ora, nonostante gli anni trascorsi in 
una realtà strutturata militarmente come la Flotta, a volte le 
incendiava il corpo. Ora quell’incendio non lo sentiva, ma sentiva 
comunque la rabbia. Una marea montante dentro ogni fibra del suo corpo 
inanimato e del suo essere interiore.
Ondate successive che salivano quasi a farla annegare.
Se fosse stata in grado di muoversi a quel punto le unghie sarebbero 
state probabilmente conficcate nella carne in un disperato tentativo di 
trattenere l’esplosione che, istante dopo istante, stava diventando 
inevitabile. Non c’era dolore però. Non c’era dolore, non c’era calore, 
non c’era luce, non c’era rumore… non c’era niente.
Semplicemente era sospesa in un limbo che non sapeva neppure giudicare 
se e quanto reale.
Non sentiva nemmeno il suono del suo stesso respiro. Era morta?
Era quella la morte.
Un’esistenza eterna senza collegamento con niente e nessuno al di fuori 
di sé? Una infinita auto contemplazione che poteva portare alla follia? 
Quale sarebbe stato quindi lo scopo ultimo di quel genere di vita dopo 
la vita?
Tentò di concentrarsi per capire se stesse respirando o meno. Forse 
tutto quello che stava pensando era l’ultimo anelito di pensiero in un 
cervello che stava lentamente cedendo alla fine privato dell’ossigeno e 
del sangue. Sangue. Non sentiva nemmeno il rombo del sangue nelle 
orecchie. Quel rombo che nel silenzio diventava una pulsazione ritmica 
con un tempo dettato dal battere del cuore nel petto.
Stava respirando o no? Entrava aria nei suoi polmoni o no?
Cercò di isolare le emozioni che la stavano fuorviando. Pensò brevemente 
alla sua controparte sulla USS Curie, cosa avrebbe pensato e come 
avrebbe agito? Forse per lei sarebbe stato più facile con tutta quella 
strabordante logica vulcaniana che non sapeva se invidiare od odiare.
Cosa avrebbe fatto Suri?
Nello stesso istante un pensiero totalmente slegato dal contesto le 
attraversò la mente “Chissà se un non-vulcaniano potrebbe affrontare il 
Kolinhar?”
Si riscosse cercando di capire se quel divagare improvviso non fosse il 
primo sintomo della follia che stava iniziando a prendere il 
sopravvento. Decise convintamente essere il primo segnale di un 
ritrovato controllo.
Enizia tentò di concentrarsi sul proprio respiro.
Doveva capire in qualche modo se era morta o viva. Nel qual caso sarebbe 
stato interessante capire anche se era possibile restarci… viva ovviamente.
Sì respirava. L’entusiasmo della scoperta fu quasi secondario 
all’entusiasmo di sapersi viva.
Qualcosa c’era che riusciva a percepire.
Non era molto. Una specie di leggero solletico al passaggio dell’aria 
dentro di lei. Non ci aveva mai fatto caso prima di allora, ma a starci 
attenti si sentiva. Si poteva percepire.
Quindi stava respirando, quindi il suo cervello non stava lanciando i 
suoi ultimi spasmi sotto forma di idee malate come quella di affrontare 
il Kolinhar.
Se poteva respirare, forse poteva anche controllare il ritmo del 
respiro. Quello era il prossimo anello della catena che la teneva legata 
alla lucidità trattenendola dal cadere nella follia.
Perse rapidamente il conto di quante volte provò a rallentare il tempo 
tra un afflusso di aria ed il successivo. Contava lentamente i secondi, 
quindi tralasciò di contare i tentativi e forse fu meglio così perché si 
rivelarono essere più di quanti Enizia si sarebbe aspettata.
Inspirare… uno… due… tre…
Espirare… uno… due… tre…
Una sequenza infinita di inspirare ed espirare… oramai era quasi un 
conteggio automatico quando senza preavviso arrivò al quarto secondo.
Sì dannazione sì… finalmente un minimo di controllo. Rivoleva il suo 
corpo, voleva sentire nuovamente, vedere, capire cosa le stesse succedendo.
Avanti così, ora che il primo passo era fatto non poteva mollare né 
cedere di un solo millimetro. Non poteva rallentare gli sforzi o 
riposarsi. Attorno a lei era ancora tutto troppo buio e troppo silenzioso.
Tenendo sotto controllo il respiro provò ad aprire gli occhi. Provò e 
provò ancora.
Forte del successo ottenuto non poteva demoralizzarsi ora per 
l’esasperante lentezza nei suoi progressi.
Improvvisamente, come se fosse tutto assolutamente come una qualunque 
inizio turno di un qualsiasi giorno, fu luce.
In qualche modo, non sapeva nemmeno lei come, era riuscita a muovere le 
palpebre quel minimo che era bastato a creare una sottile fessura. La 
sottile lama di puro candore che le aveva colpito la retina così 
violentemente che serrò rapidamente gli occhi.
Aveva anelato la luce, ma il dolore era stato intenso.
Enizia riprese con più convinzione, se era riuscita una volta 
sicuramente ci sarebbe riuscita di nuovo ed ogni volta con più 
controllo. In un paio di tentativi riuscì a tenerli finalmente aperti, e 
si ritrovò a fissare il soffitto della… sì dopo un rapido sguardo 
intorno poteva confermarlo… era il soffitto della plancia.
Quindi era distesa a terra.
Nel momento stesso in cui se ne rese conto le sovvenne un aneddoto che 
le era stato raccontato dal suo fratello maggiore parecchi anni prima. 
Un aneddoto su un uomo che si era steso a terra, non ricordava dove, per 
guardare un’opera d’arte di cui non ricordava niente se non che era 
dipinta su un soffitto. Il succo della cosa era che quel tale, preso 
dall’ammirazione dell’opera non si era reso conto di una ressa in fuga 
per qualche motivo, che egualmente non ricordava, che lo aveva 
calpestato a morte.
Si stava distraendo anche lei, di nuovo, era un chiaro sintomo che era 
alla fine della sua resistenza.
Riportò di nuovo il pensiero alla vulcaniana sull’altra nave.
Desiderò con tale feroce intensità riuscire a capire come stessero a 
bordo della Curie che riuscì ad alzare la testa abbastanza da guardarsi 
brevemente intorno. Gli altri ufficiali di plancia erano tutti presenti 
e, da quello che riusciva capire, in condizioni analoghe alle sue.
Tutte quello che vedeva attorno faceva propendere per qualche fenomeno 
naturale che avesse preso di mira la Baffin. Il problema era la mancanza 
di qualunque altro suono in plancia. Niente suoni e niente comunicazioni 
in ingresso. Questo faceva pensare che, qualunque cosa fosse successa a 
loro, fosse successa anche alla Curie.
Nel momento stesso in cui lasciò ricadere all’indietro la testa arrivò 
il calore.
Fino a quel momento non aveva avuto delle risposte sensoriali dal suo 
corpo, ma nel momento stesso in cui iniziò a percepire il calore iniziò 
anche a percepire quanto fosse intenso. Un’intensità molto superiore a 
quella che la sua fisiologia andoriana potesse sopportare. Mano a mano 
che saliva la percezione di caldo saliva anche una senso di asfissia 
che non ricordava di aver mai provato.
Quindi non era solo il pavimento della plancia ad essere caldo, ma anche 
l’aria che stava respirando.
Quel risveglio lento dei sensi che aveva vissuto con gioia 
improvvisamente le sembrò avere un’attrattiva alquanto miserevole. 
Cominciava a pensare che, nel momento in cui sarebbe stata in grado di 
muoversi, non sarebbe stata né felice né lieta.
Il calore sotto di lei era talmente intenso da provarle un dolore 
fortissimo e diffuso soprattutto nei punti di maggiore contatto con il 
pavimento. Parte alta della schiena, natiche, polpacci… non poteva 
esserne certa ovviamente ma dava quasi per scontata un’ustione estesa.
In fondo la resistenza al calore era una dote di cui era dotata ad un 
livello paragonabile alla capacità di autocontrollo… il che era tutto dire.
Sentiva un bruciore così intenso oramai che non avrebbe saputo dire se 
fosse stata la necessità di sottrarsi al pavimento bollente o che altro 
a provocarle il recupero assoluto delle sue capacità motorie.
Si trovò in piedi.
Beh, in piedi sì era innegabile. Si sentiva rattrappita come un vecchio 
e probabilmente altrettanto anchilosata. Dalla sua ritrovata posizione 
verticale fu in gradi di guardarsi intorno con più attenzione.
Gli ufficiali attorno a lei erano tutti a livelli diversi dello stesso 
percorso di recupero che lei stessa stava ancora percorrendo. Chi 
accasciato su una consolle, chi disteso a terra. Qualcuno con gli occhi 
aperti fissi su di lei con un lampo di sollievo nel vedere niente meno 
che il Capitano comparire nel suo campo visivo. Qualcuno ancora con gli 
occhi chiusi, probabilmente in preda alla stessa ansia che lei stessa 
aveva provato. Qualcuno con la rabbia ad illuminare lo sguardo e 
l’uniforme scurita dal sudore, dovuto al calore o allo sforzo era 
difficile da dire.
Quasi al rallentatore si trascinò verso la sua postazione. Pochi 
centimetri che sembrarono eterni, fino a che riuscì a lasciarsi cadere 
seduta con le articolazioni ululanti per il dolore… pentendosi nel 
momento stesso in cui il suo fondoschiena, ora era certa che fosse 
ustionato, toccò il sedile della poltrona.
Non si rialzò solo perché non aveva l’energia per farlo.
Strisciò le dita fino alla consolle, usando l’attrito dei polpastrelli 
per aiutarsi a trascinare il braccio, fino a che non riuscì ad aprire un 
canale di comunicazione.

=^= A tutti i ponti. Qui il Capitano Enizia, rapporto immediato. =^=

Silenzio.
Ancora quel dannato enorme avvolgente ed annichilente silenzio. Lei che 
aveva amato i silenzi delle gelide distese di Andoria, cominciava ad 
odiare quel silenzio.

=^= Capitano Enizia a USS Curie. Mi ricevete? =^=

Silenzio.

=^= Capitano Enizia a Capitano Suri, mi riceve? =^=


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Capitano Enizia Gishna
Ufficiale Comandante
USS Pytheas - NX 69096-D
Progetto Pytheas - Delta Quadrant
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http://starfleetitaly.it/pytheas
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Martina mail: Cap.EniziaGishna.com
        Skype: martina_fvg
        Jabber: Cap.EniziaGishna
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