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Marty la tua scrittura è sempre di ottimo livello, molto bello. <br>
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Ho già buttato giù qualcosa e a breve pubblicherò anch'io. <br>
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Baci<br>
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Monica <br>
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Ten. Com. Luz Fuentes <br>
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Ufficiale Medico Capo<br>
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USS Pytheas NX69096<br>
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Ottieni <a href="https://aka.ms/ghei36">Outlook per Android</a></div>
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Da: Cap.EniziaGishna<br>
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Inviato: Venerdì 23 Marzo 22:23<br>
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Oggetto: [Stml9] [8.00] Enizia - Fusione bollente nello spazio gelido<br>
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A: stml9@gioco.net<br>
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Buona sera a tutti, ecco qui il mio brano aggiornato e corretto [8.00] Enizia - Fusione bollente nello spazio gelido USS Baffin - Plancia 23/03/2398 Ore 21.00 - DS 75224.32 Silenzio. L’assordante silenzio fu la prima cosa che colpì le orecchie del Capitano
Enizia Gishna. Non c’era mai quella totale assenza di rumore su una nave stellare. Nei turni notturni, quando la vita a bordo rallentava, se non altro permaneva il ronzio. Quella bassa costante vibrazione dei motori attivi, che si trasmetteva a tutta la nave
e che veniva percepita dal corpo e dagli organi uditivi. C’era il basso ronzio, la vibrazione costante che si trasferiva a tutta la nave quando i motori erano attivi. Nei turni diurni poi a questo si sommava il rumore della vita che scorreva, del personale
di bordo in movimento, del chiacchiericcio dello snodarsi della quotidianità. Ore c’era solo silenzio. Temeva di essere diventata sorda. E posto che fosse vero cosa le aveva provocato quella improvvisa perdita di udito? Cercò di concentrarsi e tornare indietro
a… prima… ma l’ultimo ‘prima’ che ricordava era entrare in plancia. Dopo quello era come se il suo cervello non avesse computato nulla, nessun input. Cercò di percepire la sua posizione con le sue appendici sensoriale aggiuntive, ma le antenne sembravano…
morte. Perse non le aveva perché non percepiva quel senso di sbilanciamento tipico della mancanza di un riferimento. Quello che nei terrestri e nelle razze prive di antenne era associabile ad un danno degli organi uditivi che persino lei sapeva essere chiamato
labirintite. La sua testa divagava. Sembrava impossibilitata a concentrarsi su qualcosa, come stordita da qualche agente esterno. Dato che non riusciva ad avere informazioni utili dalle antenne proseguì nel suo silenzioso controllo cercando di aprire gli occhi.
Buio. Non riusciva ad aprire gli occhi oppure si erano aperti ed era diventata cieca oltre che sorda? Non sentiva e non vedeva oppure il suo corpo non stava rispondendo agli ordini impartiti dal cervello? I suoi occhi si erano aperti o no? Le sue terminazioni
nervose sembravano essere tutte disattivate. Non era in grado di dire se il suo corpo stesse o no rispondendo ai comandi. Non lo percepiva… non si percepiva! Una bambola. Non era altro che una bambola senza alcuna possibilità di iterazione con un mondo esterno
a lei che magari stava usandola o manipolandola… una bambola dotata di vita e, di conseguenza per il suo modo di vedere l’universo, di una coscienza. L’anima non era mai stato terreno su cui avesse provato interesse ad inoltrarsi. Era vittima di una perdurante
e torturante deprivazione sensoriale. Era questo che stava succedendo? La stavano torturando? Cosa volevano da lei? Il primo nucleo di emozione a generarsi da qualche parte dentro di lei fu ansia. Un’ansia feroce che si fece strada dentro di lei. Avrebbe voluto
scappare urlare stringere i pugni e lasciarli andare con violenza su chiunque le stesse facendo quello. Odiava essere messa all’angolo, in qualunque modo. Tutti i richiami formali ricevuti per essersi difesa fisicamente stavano li a dimostrarlo. L’ansia lasciò
presto il posto ad un’emozione ben più violenta, la rabbia. Quella rabbia che ancora ora, nonostante gli anni trascorsi in una realtà strutturata militarmente come la Flotta, a volte le incendiava il corpo. Ora quell’incendio non lo sentiva, ma sentiva comunque
la rabbia. Una marea montante dentro ogni fibra del suo corpo inanimato e del suo essere interiore. Ondate successive che salivano quasi a farla annegare. Se fosse stata in grado di muoversi a quel punto le unghie sarebbero state probabilmente conficcate nella
carne in un disperato tentativo di trattenere l’esplosione che, istante dopo istante, stava diventando inevitabile. Non c’era dolore però. Non c’era dolore, non c’era calore, non c’era luce, non c’era rumore… non c’era niente. Semplicemente era sospesa in
un limbo che non sapeva neppure giudicare se e quanto reale. Non sentiva nemmeno il suono del suo stesso respiro. Era morta? Era quella la morte. Un’esistenza eterna senza collegamento con niente e nessuno al di fuori di sé? Una infinita auto contemplazione
che poteva portare alla follia? Quale sarebbe stato quindi lo scopo ultimo di quel genere di vita dopo la vita? Tentò di concentrarsi per capire se stesse respirando o meno. Forse tutto quello che stava pensando era l’ultimo anelito di pensiero in un cervello
che stava lentamente cedendo alla fine privato dell’ossigeno e del sangue. Sangue. Non sentiva nemmeno il rombo del sangue nelle orecchie. Quel rombo che nel silenzio diventava una pulsazione ritmica con un tempo dettato dal battere del cuore nel petto. Stava
respirando o no? Entrava aria nei suoi polmoni o no? Cercò di isolare le emozioni che la stavano fuorviando. Pensò brevemente alla sua controparte sulla USS Curie, cosa avrebbe pensato e come avrebbe agito? Forse per lei sarebbe stato più facile con tutta
quella strabordante logica vulcaniana che non sapeva se invidiare od odiare. Cosa avrebbe fatto Suri? Nello stesso istante un pensiero totalmente slegato dal contesto le attraversò la mente “Chissà se un non-vulcaniano potrebbe affrontare il Kolinhar?” Si
riscosse cercando di capire se quel divagare improvviso non fosse il primo sintomo della follia che stava iniziando a prendere il sopravvento. Decise convintamente essere il primo segnale di un ritrovato controllo. Enizia tentò di concentrarsi sul proprio
respiro. Doveva capire in qualche modo se era morta o viva. Nel qual caso sarebbe stato interessante capire anche se era possibile restarci… viva ovviamente. Sì respirava. L’entusiasmo della scoperta fu quasi secondario all’entusiasmo di sapersi viva. Qualcosa
c’era che riusciva a percepire. Non era molto. Una specie di leggero solletico al passaggio dell’aria dentro di lei. Non ci aveva mai fatto caso prima di allora, ma a starci attenti si sentiva. Si poteva percepire. Quindi stava respirando, quindi il suo cervello
non stava lanciando i suoi ultimi spasmi sotto forma di idee malate come quella di affrontare il Kolinhar. Se poteva respirare, forse poteva anche controllare il ritmo del respiro. Quello era il prossimo anello della catena che la teneva legata alla lucidità
trattenendola dal cadere nella follia. Perse rapidamente il conto di quante volte provò a rallentare il tempo tra un afflusso di aria ed il successivo. Contava lentamente i secondi, quindi tralasciò di contare i tentativi e forse fu meglio così perché si rivelarono
essere più di quanti Enizia si sarebbe aspettata. Inspirare… uno… due… tre… Espirare… uno… due… tre… Una sequenza infinita di inspirare ed espirare… oramai era quasi un conteggio automatico quando senza preavviso arrivò al quarto secondo. Sì dannazione sì…
finalmente un minimo di controllo. Rivoleva il suo corpo, voleva sentire nuovamente, vedere, capire cosa le stesse succedendo. Avanti così, ora che il primo passo era fatto non poteva mollare né cedere di un solo millimetro. Non poteva rallentare gli sforzi
o riposarsi. Attorno a lei era ancora tutto troppo buio e troppo silenzioso. Tenendo sotto controllo il respiro provò ad aprire gli occhi. Provò e provò ancora. Forte del successo ottenuto non poteva demoralizzarsi ora per l’esasperante lentezza nei suoi progressi.
Improvvisamente, come se fosse tutto assolutamente come una qualunque inizio turno di un qualsiasi giorno, fu luce. In qualche modo, non sapeva nemmeno lei come, era riuscita a muovere le palpebre quel minimo che era bastato a creare una sottile fessura. La
sottile lama di puro candore che le aveva colpito la retina così violentemente che serrò rapidamente gli occhi. Aveva anelato la luce, ma il dolore era stato intenso. Enizia riprese con più convinzione, se era riuscita una volta sicuramente ci sarebbe riuscita
di nuovo ed ogni volta con più controllo. In un paio di tentativi riuscì a tenerli finalmente aperti, e si ritrovò a fissare il soffitto della… sì dopo un rapido sguardo intorno poteva confermarlo… era il soffitto della plancia. Quindi era distesa a terra.
Nel momento stesso in cui se ne rese conto le sovvenne un aneddoto che le era stato raccontato dal suo fratello maggiore parecchi anni prima. Un aneddoto su un uomo che si era steso a terra, non ricordava dove, per guardare un’opera d’arte di cui non ricordava
niente se non che era dipinta su un soffitto. Il succo della cosa era che quel tale, preso dall’ammirazione dell’opera non si era reso conto di una ressa in fuga per qualche motivo, che egualmente non ricordava, che lo aveva calpestato a morte. Si stava distraendo
anche lei, di nuovo, era un chiaro sintomo che era alla fine della sua resistenza. Riportò di nuovo il pensiero alla vulcaniana sull’altra nave. Desiderò con tale feroce intensità riuscire a capire come stessero a bordo della Curie che riuscì ad alzare la
testa abbastanza da guardarsi brevemente intorno. Gli altri ufficiali di plancia erano tutti presenti e, da quello che riusciva capire, in condizioni analoghe alle sue. Tutte quello che vedeva attorno faceva propendere per qualche fenomeno naturale che avesse
preso di mira la Baffin. Il problema era la mancanza di qualunque altro suono in plancia. Niente suoni e niente comunicazioni in ingresso. Questo faceva pensare che, qualunque cosa fosse successa a loro, fosse successa anche alla Curie. Nel momento stesso
in cui lasciò ricadere all’indietro la testa arrivò il calore. Fino a quel momento non aveva avuto delle risposte sensoriali dal suo corpo, ma nel momento stesso in cui iniziò a percepire il calore iniziò anche a percepire quanto fosse intenso. Un’intensità
molto superiore a quella che la sua fisiologia andoriana potesse sopportare. Mano a mano che saliva la percezione di caldo saliva anche una senso di asfissia che non ricordava di aver mai provato. Quindi non era solo il pavimento della plancia ad essere caldo,
ma anche l’aria che stava respirando. Quel risveglio lento dei sensi che aveva vissuto con gioia improvvisamente le sembrò avere un’attrattiva alquanto miserevole. Cominciava a pensare che, nel momento in cui sarebbe stata in grado di muoversi, non sarebbe
stata né felice né lieta. Il calore sotto di lei era talmente intenso da provarle un dolore fortissimo e diffuso soprattutto nei punti di maggiore contatto con il pavimento. Parte alta della schiena, natiche, polpacci… non poteva esserne certa ovviamente ma
dava quasi per scontata un’ustione estesa. In fondo la resistenza al calore era una dote di cui era dotata ad un livello paragonabile alla capacità di autocontrollo… il che era tutto dire. Sentiva un bruciore così intenso oramai che non avrebbe saputo dire
se fosse stata la necessità di sottrarsi al pavimento bollente o che altro a provocarle il recupero assoluto delle sue capacità motorie. Si trovò in piedi. Beh, in piedi sì era innegabile. Si sentiva rattrappita come un vecchio e probabilmente altrettanto
anchilosata. Dalla sua ritrovata posizione verticale fu in gradi di guardarsi intorno con più attenzione. Gli ufficiali attorno a lei erano tutti a livelli diversi dello stesso percorso di recupero che lei stessa stava ancora percorrendo. Chi accasciato su
una consolle, chi disteso a terra. Qualcuno con gli occhi aperti fissi su di lei con un lampo di sollievo nel vedere niente meno che il Capitano comparire nel suo campo visivo. Qualcuno ancora con gli occhi chiusi, probabilmente in preda alla stessa ansia
che lei stessa aveva provato. Qualcuno con la rabbia ad illuminare lo sguardo e l’uniforme scurita dal sudore, dovuto al calore o allo sforzo era difficile da dire. Quasi al rallentatore si trascinò verso la sua postazione. Pochi centimetri che sembrarono
eterni, fino a che riuscì a lasciarsi cadere seduta con le articolazioni ululanti per il dolore… pentendosi nel momento stesso in cui il suo fondoschiena, ora era certa che fosse ustionato, toccò il sedile della poltrona. Non si rialzò solo perché non aveva
l’energia per farlo. Strisciò le dita fino alla consolle, usando l’attrito dei polpastrelli per aiutarsi a trascinare il braccio, fino a che non riuscì ad aprire un canale di comunicazione. =^= A tutti i ponti. Qui il Capitano Enizia, rapporto immediato. =^=
Silenzio. Ancora quel dannato enorme avvolgente ed annichilente silenzio. Lei che aveva amato i silenzi delle gelide distese di Andoria, cominciava ad odiare quel silenzio. =^= Capitano Enizia a USS Curie. Mi ricevete? =^= Silenzio. =^= Capitano Enizia a Capitano
Suri, mi riceve? =^= -- ============================================== Capitano Enizia Gishna Ufficiale Comandante USS Pytheas - NX 69096-D Progetto Pytheas - Delta Quadrant ============================================== http://starfleetitaly.it/pytheas ==============================================
Martina mail: Cap.EniziaGishna.com Skype: martina_fvg Jabber: Cap.EniziaGishna ============================================== ================================================== Non esistono domande stupide solo risposte stupide _______________________________________________
Stml9 mailing list Stml9@gioco.net http://gioco.net/cgi-bin/mailman/listinfo/stml9
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