La
tigre e il dragone
Autori: Luca e Marco
Personaggi: Cécile, Kenneth, Noah, Max, Morgan, Stacey.
Kenneth, negli ultimi tre giorni, aveva dormito poco e male. Gli era sempre stato difficile ambientarsi in posti nuovi, specie per i primi tempi, forse anche perché, in definitiva, odiava farlo.
A casa, tutti i suoi compagni di scuola, profetando chissà quali meravigliose avventure nel nuovo mondo, si erano congratulati con lui quando gli avevano comunicato che era stato scelto per lo scambio culturale con una scuola americana. Erano odiosi.
Lui non voleva andarsene da casa sua, né tanto meno dal Regno Unito, certo non per finire nelle colonie. Quello era il cosiddetto grande giorno, o almeno i suoi compagni avrebbero pensato che lo fosse. Per Kenneth era solo un giorno come tanti altri, se non peggiore.
Si trovava davanti la scuola, mentre attorno sfilavano gli studenti che, vociando allegramente, vestiti con colori vivaci, entravano nell'edificio.
Il ragazzo era leggermente agitato, ma il suo stato d'animo non traspariva affatto all’esterno. Infilò una mano nello zaino e ne tirò fuori un tubetto piegato ad L, se lo portò alla bocca e premette il pulsante di gomma. Sollevato, ripose il tubetto nello zaino ed entrò a sua volta.
Camminò per i corridoi sentendosi osservato da tutti, anche se sapeva benissimo che, forse, nessuno lo stava filando. Arrivato a quello che doveva essere l'armadietto che gli era stato assegnato, stando a quanto vi era scritto davanti, lo aprì e, tirando finalmente un sospiro di sollievo, vi ripose lo zaino. Tappa numero uno, raggiunta senza incidenti.
Pausa pranzo. Era ormai già da un po' che Kenneth era immerso nella lettura del suo libro quando, come obbedendo ad un atavico istinto, tirò fuori l'orologio da taschino che suo padre gli aveva regalato e che lui preferiva di gran lunga agli orologi da polso per il semplice motivo che gli consentiva di evitare qualsiasi contatto prolungato col metallo di cui, solitamente, i secondi erano composti, così da evitare ogni rischio che questo scatenasse imbarazzanti reazioni allergiche.
Il viso di Kenneth, come al solito privo di qualsiasi espressione che non denotasse distacco da tutto il resto del mondo, assunse pian piano un'espressione allarmata, al limite sconvolta, in luogo di quella imperturbabile: non mancava che un quarto d'ora all'inizio delle lezioni!
Kenneth ripose in fretta e furia il libro di Dickens e si avviò velocemente verso l'edificio scolastico che ospitava l'aula dove si sarebbe tenuta la sua prossima lezione. Il ragazzo, preso in forsennati preparativi e incalzato da una fretta a cui non era abituato grazie alla sua capacità di programmare sempre tutto, inciampò anche sui propri piedi rischiando di rovinare dolorosamente a terra. Camminando convulsamente e come se ne andasse della propria vita, entrò a scuola, arrivò alla sua aula ancora vuota e, fermatosi, stette a contemplare col fiatone i banchi della prima fila, di solito occupata dai secchioni.
Scelse proprio quello situato in mezzo agli altri banchi ma, prima di sistemarvi la propria roba che aveva provvidenzialmente recuperato dal suo armadietto, si mise ad esaminare la superficie della sedia e del banco, eliminando ogni traccia di polvere che, ne era convinto, avrebbe dato irritanti fastidi al suo delicato sistema immunitario. Quindi, finalmente, si sedette al suo posto, sistemando il materiale scolastico in ordine di utilità, e occupò il tempo rimanente nell’attesa del docente che doveva tenere la lezione.
Morgan entrò in classe come una furia, appena un attimo prima che la signorina Miller, la professoressa di Storia, facesse il suo solito ingresso pomposo. Morgan si sedette nel banco libero al fianco di un ragazzo che aveva tutta l'aria di essere nuovo. Si lasciò cadere di
peso sulla sedia e sbuffò di fatica, guardandosi intorno.
- Scommetto che sei nuovo – azzardò, cercando di attirare l'attenzione del ragazzo
che aveva affianco.
- Immagino non te ne freghi niente, ma io sono Morgan Parker, aspirante fotografo del giornale studentesco. Piacere di conoscerti e benvenuto a New Heaven -
Kenneth aveva seguito allarmato, pur senza far trasparire le proprie emozioni, le manovre del ragazzo appena giunto e che, con tanta disinvoltura, si era presentato, porgendogli la mano. L'inglese osservò leggermente interdetto la mano tesa di Morgan, non perché non desiderasse stringerla, piuttosto perché temeva vi fosse annidata qualche sostanza aliena in grado si scatenare il suo sistema immunitario, magari provocandogli esantemi o facendolo gonfiare come un rospo. Poi, finalmente, si decise. Che diamine! Se non si corre qualche rischio, che senso ha vivere!
Strinse senza troppa convinzione la mano di Morgan, rispondendo con gelida cortesia.
- Non vedo perché non dovrebbe importarmi. Piacere, io sono Kenneth Grenville Bryant e hai ragione, sono nuovo, vengo dall'Inghilterra -
Detto ciò si richiuse nel suo silenzio, ignorando i commenti del compagno sul fascino della vecchia Inghilterra e sulla fantomatica rigorosità dell’educazione infantile nel suo paese natale. Tutto ciò in favore della lezione del professor Doyle, che era cominciata. Morgan dovette attendere il suono della campanella perché Kenneth si degnasse di rivolgergli nuovamente un briciolo di attenzione.
- Sembra che il prof. abbia fatto centro oggi, riesci sempre a seguire ininterrottamente tutta la lezione? - gli chiese, cominciando a mettere via la sua roba.
Kenneth lo guardò inespressivo per qualche istante.
- Si - disse semplicemente, prima di tirare fuori il suo inalatore. Un sibilo, e poi il tubetto ritornò nella borsa da cui era stato estratto.
Morgan si alzò dal banco e osservò la classe che si dileguava alla velocità della luce. Prese la macchina fotografica e se la mise al collo, quindi si avvicinò al banco di Kenneth e gli chiese sorridendo - Allora, come è andato il primo giorno in questo manicomio? -
Kenneth stava, come sua abitudine, ordinatamente raccogliendo la propria roba prima di metterla via.
- Nello stesso modo in cui è andata la mia ultima settimana - rispose atono - E cioè un vero schifo -
Detto ciò si alzò in piedi e uscì dall'aula, pronto a fuggire da quel posto orribile e a dimenticarsi di quella straziante giornata. Morgan tuttavia sembrava deciso a tallonarlo fino in capo al mondo. Kenneth fece per dirgli qualcosa che palesasse la sua opinione in merito, ma appena misero piede fuori dall’aula qualcuno lo urtò senza la minima creanza, spargendo i suoi libri dappertutto.
- Levati dai piedi imbecille! - inveì la ragazza colpevole dell’incidente, e senza neanche guardarlo continuò a camminare, scalciando i suoi libri da tutte le parti.
Kenneth la odiò immediatamente, ma dal suo viso non trasparì nulla mentre, chinandosi, cominciò a raccogliere i propri volumi, sforzandosi per non digrignare i denti.
Noah sospirò, rassegnato, scuotendo la testa mentre guardava la sorella allontanarsi con le sue amiche. Raccolse un paio di volumi che erano finiti non troppo lontano da lui, e li restituì al proprietario, con una comprensiva pacca sulla spalla.
- Certo che tua sorella è proprio uno zuccherino - commentò Max, avviandosi verso l’uscita a braccetto con Noah, e alzando intenzionalmente il tono della voce.
Diversi metri più avanti, Cécile si immobilizzò all'istante, mentre il sorriso paziente di Noah si trasformava in uno sguardo allarmato.
Sua sorella fece dietro front e si staccò dalle altre, raggiungendo Max con la sua camminata lenta e flessuosa. Uno sguardo di pacata furia le illuminava il volto ed il bel sorriso tranquillo, mentre i passi sicuri si arrestavano davanti alla ragazza.
- Hai detto qualcosa, piccola, povera pazza suicida? Credi che la bava che cola dalla bocca di mio fratello possa impedirmi di trasformarti nello zimbello di questa scuola? Ti consiglio di cominciare a vestirti come un essere umano, se non vuoi diventare il piatto forte sul vassoio del club di Saffo - ghignò malignamente. Quindi si voltò e prese la porta insieme alle sue amiche, senza degnare chiunque altro del minimo sguardo.
- Cécile... Max! Max.. l'adorabile Cécile Mayfair! – ironizzò Noah, cercando di sdrammatizzare.
Max non aveva mai distolto nemmeno per un secondo lo sguardo da quello di Cécile, poi, quando la ragazza si stava allontanando senza darle l'occasione di replicare, si rivolse a Noah:
- Dov’era tua sorella quando a te hanno insegnato l'educazione? Si passava lo smalto sulle unghie? -
Cécile uscì dall'atrio senza più voltarsi, ma Noah era certo che avesse captato ogni sillaba. In realtà non era poi tanto preoccupato, semmai piacevolmente sorpreso. Sua sorella non era solita degnare i comuni mortali della sua illuminata conversazione. Si limitava a terrorizzarli o sfotterli. Una riprova che Max non era una ragazza comune.
- Sai, credo che tu le piaccia - le sorrise enigmatico - Ma non lo ammetterebbe neanche di fronte al Diavolo stesso -
La fissò negli occhi profondi e le sue stesse parole rievocarono il sogno, costringendolo a distogliere lo sguardo. Ma si riscosse subito e sfoderò il suo sorriso più luminoso e rassicurante - Andiamo, ho una voglia matta di bere qualcosa - le disse, prendendola per mano e portandola fuori.
Visibilmente infastidito per quanto accaduto negli ultimi istanti, Kenneth assistette in silenzio al non troppo velato diverbio tra la ragazza che l'aveva urtato e un'altra che, evidentemente, non aveva un carattere troppo diverso dalla prima
Kenneth odiava quel genere di persone, sempre così preoccupate di infastidire gli altri, quasi sempre troppo stupide per capire quando smetterla, specie quando il gioco si faceva davvero pericoloso. Oh, certo! Non che il ragazzo avesse ragione di temere qualcosa da quelle due, a parte, sia chiaro, rotture di scatole derivanti dal frequentare la loro stessa scuola ma, allo stesso tempo, non poté fare a meno di chiedere a Morgan - Chi è quella? - riferendosi evidentemente alla ragazza che lo aveva urtato.
Stacey raccolse i libri di scuola dall'armadietto, contemplando per qualche secondo ancora il suo splendido poster di Brad Pitt, poi chiuse lo sportello e uscì fuori. Appena giunta in cortile, poté notare in lontananza la sottile figura di Cécile e il suo gruppetto che le faceva da corteo. Sorrise. La loro chiacchierata, quella mattina, era rimasta in sospeso.
Quando si dice il destino.
Quindi si avvicinò.
- Ehi, ciao! Ci si rivede, eh? - fece allegra. La Mayfair la guardò come se fosse una squilibrata appena fuggita da qualche ospedale, magari con ancora la camicia di forza addosso.
- Sei passata alla tattica dell’agguato? -
Il sorriso di Stacey si smorzò un poco, ma la ragazza non si perse d’animo.
- A dire il vero sì – confessò - Vorrei sapere se sono davvero così antipatica! -
Cécile alzò gli occhi al cielo.
- Oh ti prego! La tua parola preferita è pietà? - la guardò con espressione consolante e le accarezzò il mento con le dita.
- Gioia! Sorridi! C'è il sole, c'è la brezza, e Cécile ti perdonerà se smetterai di annoiarla a morte. Trova qualcosa di originale da dire, oppure - fece spallucce - Non dire nulla! -
Le sorrise con maligna soddisfazione, quindi riprese a camminare in direzione della propria auto.
Stacey rimase imbambolata per un secondo o due, ma non appena si riprese scodinzolò dietro a Cécile e le si portò davanti, sbarrandole la strada, e sperando che quella non reagisse alzando le mani.
- D'accordo, allora 2 cose – azzardò.
- Numero uno, vi va di fare un giro al City Center? E, due, credi nella magia? -
Poi aspettò la risposta della ragazza, incrociando le braccia con la sua tipica aria da... beh... insomma... con la sua tipica aria.
Il sorriso di Cécile non accennò la minima reazione, ma dentro di sé la ragazza si sentì gelare. Cosa intendeva quella tipa con - Credi nella magia - ?
Non sembrava casuale. Prese un'aria rilassata e vagamente annoiata, girando intorno a Stacey e riprendendo a camminare elegantemente.
- Cappelli e conigli? Onestamente i maghi da baraccone non mi fanno impazzire. Sai ho smesso di giocare con le bambole da qualche anno - commentò sarcastica - Però il City Center è un'idea! - fece una lunga pausa, fermandosi e voltandosi a squadrare la ragazza dalla testa ai piedi. Scambiò qualche occhiata d'intesa con le amiche, quindi sorrise generosamente.
- E sia! Immagino che dovrò darti un passaggio - s'informò con un sospiro paziente.
Stacey sorrise.
Kenneth fremeva, in attesa dell’occasione propizia. Prima di andarsene per la sua strada, Morgan gli aveva parlato con dovizia di particolari dell’arpia che lo aveva praticamente investito.
Cécile Mayfair, sorella di Noah Mayfair. Terrore del New Heaven High School e rispettata perfino dai ragazzi più grandi, laddove non temuta. Quella ragazza aveva fama di essere una vera strega, e di non fermarsi davanti a nulla e nessuno. A giudizio di Kenneth aveva anche bisogno di una lezione indimenticabile.
Così si era appostato fra i cespugli alato del parcheggio orientale, nella speranza che Cécìle e le sue amiche gli dessero un'occasione, una sola occasione! Era chiedere troppo? Naturalmente no! E il destino gli concesse ciò che lui tanto aveva bramato fino a quel momento.
Non aveva capito bene cosa fosse successo, o cosa stesse ancora succedendo, tra la Mayfair, le sue due tirapiedi e quell'altra ragazza ma, quando vide la Ferrari arrivare, fu colto per un attimo dallo sgomento. Stava per andare tutto a rotoli, ma poi, finalmente, la Mayfair e le sue amiche salirono a bordo dell'auto della prima.
Kenneth decise che era giunto il momento di agire, ma.. No! Un momento! E quella dove stava andando?
Una delle amiche della strega era scesa a parlare con la ragazza di prima, rimasta momentaneamente appiedata, poi per fortuna era risalita a bordo, mentre l’altra aveva raggiunta un’altra auto parcheggiata lungo il viale. Kenneth tirò un sospiro di sollievo, e finalmente poté concentrarsi sull'auto di Cécile.
La solita, piccola vena ricominciò a pulsare sulla sua tempia e, nello stesso momento, l'auto cominciò a traballare e poi ad abbassarsi verso il terreno, sempre di più, finché la carrozzeria non arrivò a nascondere quasi del tutto le ruote. Poi, dopo pochi istanti di pausa, una serie di schianti stavano a testimoniare che, per qualche misterioso motivo, tutti e quattro gli ammortizzatori erano fuori uso. Ancora pochi istanti e quattro scoppi, in rapida successione, testimoniavano a loro volta che i quattro pneumatici erano esplosi.
Kenneth, dopo che un'evidente espressione di soddisfazione era comparsa sul suo viso, lasciò la presa sull'auto. A causa dello sforzo, la fronte era imperlata di sudore e la fatica lo costrinse ad appoggiarsi al fusto dell'albero.
Il respiro, reso affannoso, lo indusse a ritirar fuori il suo fedele inalatore, un sibilo, e poi lo stesso scomparve di nuovo nella tasca del pantalone.
Kenneth, un po' per riprendersi e un po' per godersi la faccia della strega, rimase fermo dove si trovava.
La sua vendetta era compiuta!
Cécile era appena salita in auto, la mente ancora piena di domande su quella frase di Stacey, quando il mondo si mise a tremolare. All'inizio fu solo una leggera vibrazione, ma subito seguirono strani cigolii e rumori d'ingolfaggio.
Prima ancora che la ragazza potesse imprecare, l'auto precipitò fragorosamente su sé stessa. Seguì l'esplosione delle gomme.
Lei era immobile. Le mani ancora sul volante. La bocca socchiusa, il volto tirato, gli occhi spalancati.
- Oh mio dio! Lily te lo giuro non sapevo di essere così ingrass...oh...oh mio dio! Cioè.. Cécile.. non volevo -
- Chiudi il becco! - tuonò lei inviperita, con una potenza da contralto che ammutolì le sue terrorizzate amiche.
- E' abbastanza ovvio che non può essere colpa tua, surrogato di intelligenza artificiale! -
Strinse il volante chiudendo gli occhi, finché le sue nocche cominciarono a sbiancarsi in modo preoccupante. Quando pensò che la sua furia omicida, e il desiderio di bere sangue dal primo idiota che le fosse capitato a tiro, si fossero sufficientemente esauriti, aprì lentamente la portiera e scese dall’auto.
Come se fosse appena arrivata a scuola alzò il viso in direzione del sole, inspirando a pieni polmoni e lasciando che il vento la mondasse e la rilassasse. Quindi chiuse lo sportello.
Seguirono una serie di tonfi che sarebbero stati comici in un qualunque B-movie, ma che le fecero venire voglia di urlare.
Lentamente, molto lentamente, si voltò verso l'auto. La carrozzeria del Cayenne di suo fratello era quasi intatta, ma le gomme erano state schiacciate sotto il peso dell'auto dopo che gli ammortizzatori e le forcelle erano semplicemente collassati su loro stessi.
Con il volto inespressivo, spostò lo sguardo dai rottami delle ruote ai finestrini, i cui vetri erano esplosi per lo schianto. Le sue amiche la guardavano tremolanti e atterrite, aspettandosi di perdere un occhio o una gamba da un momento all'altro. Le ignorò.
Cominciò invece a guardarsi intorno, notando distrattamente alcuni volti divertiti che annuivano e facevano cenni convulsi nella sua direzione. Il cortile era dominato da un silenzio brulicante. Nessuno di loro si azzardò ad avvicinarsi. Luride pecore.
Ora. Un Cayenne appena revisionato non collassa su sé stesso sotto il peso di quattro liceali a dieta perenne.
Si voltò verso la Ferrari di Stacey, poco lontano. Che fosse stata lei? L'avrebbe scoperto. E in quel caso, gliel'avrebbe fatta pagare.
Afferrò la borsetta e trovò il cellulare. Mentre aspettava il servizio di assistenza raggiunse Stacey, che la guardava sbalordita.
Quella piccola sgual..
Sfoderò il più smagliante dei suoi sorrisi.
- Hai visto? Incredibile! Qualcuno si diverte a fare scherzi idioti, irritanti. E pericolosi - le disse, con lo sguardo furioso e penetrante, la voce gelida.
Poi si rilassò.
- Beh gioia! Ho paura che per oggi avrò da fare! Sarà per la prossima volta -
Quindi si voltò e tornò verso la sua auto. E sorrideva.
Quando lo saprà Noah cadranno delle teste pensò, mentre la rabbia lasciava spazio ad una sadica, graffiante risata maligna.
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