[Stml17] [09.01 – Ghraan – Ar Akul]
Maddalena
vampitrill a gmail.com
Lun 18 Dic 2017 13:06:30 CET
Eccomi.
Non è molto lungo, ma spero vi piaccia.
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*Pianeta Demone, Struttura sconosciuta – 1/11/2396 – Ore 00.23*
Xyr non ci aveva messo molto ad indossare il vestito che le era stato
dato. Non che la prospettiva la facesse impazzire, anzi, si sentiva
decisamente a disagio in quell’abito lungo e pesante, dall’ampia
scollatura, che le avevano velatamente ordinato di infilarsi. Non si
trattava tanto dell’abito in sé, quanto del fatto che chiunque l’avessi
‘invitata a cena’, questo maestro Ar Akul, o chiunque fosse in realtà,
stesse chiaramente giocando con lei un qualche tipo di gioco che non
riusciva ancora a comprendere. Lei non era mai stata molto portata per i
giochi.
Tuttavia, al momento, non le si prospettavano molte altre scelte. Lin
era stata cortese, sorridente né aveva mosso alcuna minaccia, fisica o
verbale, a lei o a chiunque altro, ma aveva anche evitata di rispondere
a qualunque domanda lei avesse posto su dove si trovavano, chi fossero
loro e soprattutto dove si trovassero Luna e Tucci. Si era limitata ad
un sorriso e l’aveva pregata di vestirsi con comodo e uscire dalla
stanza quando fosse stata pronta. Lin l’avrebbe condotta dal maestro che
avrebbe chiarito ogni cosa.
La ragazza non sembrava particolarmente forte, aveva valutato Xtr,
nonostante le zanne, e avrebbe probabilmente potuto stenderla con un
colpo ben assestato. E poi cosa? Tentare di trovare gli altri e fuggire?
Non sapeva nemmeno se la loro navetta fosse sopravvissuta allo schianto.
Bueller forse avrebbe rischiato. O forse, aveva pensato depressa,
avrebbe corteggiato Lin e si sarebbe goduto la cena. Più probabilmente
la seconda. Detestava l’idea di fare quel che avrebbe fatto Bueller ma,
escludendo la parte del corteggiamento, attualmente era l’unica
strategia possibile.
Così, pur con riluttanza, si era sfilata l’uniforme, si era infilata
l’ingombrante abito barocco rosso sangue e aveva aperto la porta.
Lin la attendeva fuori, in piedi accanto alla soglia. Le aveva sorriso
di nuovo e l’aveva condotta lungo un corridoio arredato più o meno come
la stanza da cui era appena uscita.
Non aveva detto una parola, una specie di inquietante hostess silenziosa
e perennemente sorridente. Infine, erano giunte ad una seconda porta.
Lin aveva bussato, atteso un istante, quindi aveva aperto il battente e
si era fatta da parte.
Xyr era entrata.
*USS Hope – Ufficio MCO – Contemporaneamente*
Melanne era seduta alla scrivania e fissava il terminale con sguardo
lievemente preoccupato. Da quando Bueller aveva annunciato che la loro
destinazione non era più la conferenza di pace ma che la navetta con a
bordo Xyr, Luna e Tucci aveva inviato un segnale di soccorso e stavano
andando a cercarla, aveva fatto qualche ricerca sulla nebulosa in cui
presumibilmente erano dispersi. Lei non era un astrofisico e il fenomeno
in sé, per quanto affascinante potesse sembrare, non le interessava poi
granché. Ma se il loro compagni si erano schiantati o anche solo, si
sperava, erano atterrati da qualche parte all’interno di quella cosa,
lei avrebbe dovuto essere preparata. E, tanto per iniziare, le
interessava sapere a quale genere di radiazioni avrebbero potuto essere
soggetti gli occupanti della navetta o i membri di un’eventuale squadra
di ricerca.
“Mi mette i brividi, questa cosa…” disse a Basta, senza alzare gli occhi
dallo schermo. “E’ ridicolo, ma in ogni immagine sembra che ti fissi.”
Lon alzò gli occhi dallo schermo del padd che stava leggendo e aggrottò
leggermente le sopracciglia, mentre ascoltava il miscuglio di colori,
blu, viole e nero, che emanava dalla dottoressa, “e’ solo una nebulosa.
Non farti suggestionare.”
“Lo so che è solo una nebulosa. Ma non mi piace lo stesso.”
“Smetti di guardarla,” rispose lui con ovvietà.
Melanne gli rifilò un’occhiataccia. “Se sono atterrati da qualche parte,
dovremo scendere a cercarli.”
“E questo ti preoccupa?”
“Io sono sempre preoccupata. Ogni volta che scendiamo in missione sono
preoccupata. Sono così preoccupata che vorrei vomitare. Tutte le volte.
A parte l’ultima, ovviamente.”
Lon posò il padd sul divanetto accanto a sé e la osservò per un momento.
“Nell’ultima ti hanno sparato,” le ricordò lui.
“Vero,” rispose Melanne, facendo spallucce. “Ma è stato diverso.” Per un
attimo rimase in silenzio, poi riprese. “Non è questo il punto,
comunque. Se sono atterrati da qualche parte, ci dovremo preparare ad un
ambiente potenzialmente ostile. Mancanza di atmosfera respirabile,
radiazioni. Appronterò un protocollo di emergenza, nel caso fossero
rimasti esposti per tempi prolungati,” commentò, scartabellando tra i
padd sulla scrivania.
Basta la osservò per un momento. Non gli piaceva eccessivamente l’idea
che Melanne scendesse con la squadra di sbarco. D’altra parte, se ci
fosse stato bisogno di un medico, e tutte le evidenze puntavano in
quella direzione, lei sarebbe stata la scelta migliore.
“Forse dovremo portare le tute EVA. Anzi, mi sembra altamente
raccomandabile.”
“Quanto meno, ultimamente con quelle abbiamo fatto pratica,” sospirò Lon.
“Altrochè,” rispose lei, con un brillio improvviso di eccitazione negli
occhi.
*Pianeta Demone, Struttura sconosciuta – Contemporaneamente*
La stanza in cui Xyr venne fatta entrare era barocca come il resto
dell’arredamento. Si trattava di un ampio salone dal soffitto alto e
affrescato. Alla sua destra una fila di alte finestre coperte da pesanti
tendaggi, sulla parete di fondo un grande camino al cui interno
scoppiettava un fuoco vivace.
Alla sua sinistra una parete piena di specchi e ovunque dorature come se
piovessero.
Al centro della stanza campeggiava un enorme tavolo circondato da sedie
che sarebbero bastate tranquillamente per una trentina di persone. Era
apparecchiato solo per due, ad un’estremità. Xyr fu contemporaneamente
sollevata dal fatto di potersi risparmiare il ridicolo siparietto delle
conversazioni da un capo all’altro del tavolo e preoccupata dalla
vicinanza con il padrone di casa che questo comportava.
Lin non entrò con lei. Nessuna traccia di Tucci, né di Luna.
L’unica presenza nella stanza oltre a Xyr era la creatura seduta a
capotavola, di fronte al camino. La stanza, oltre che caldissima, era
scarsamente illuminata e con il bagliore delle fiamme alle spalle, non
le riusciva per il momento di vedere le fattezze del presunto Maestri Ar
Akul.
“Tenente Xyr,” disse l’uomo. “Benvenuta. Sono davvero lieto che abbia
deciso di unirsi a me per cena. E lasci che le dica quanto le dona
quell’abito.”
Xyr rimase immobile, piegando leggermente le antenne in avanti.
L’accento dell’uomo era liquido, indefinibile. Parlava lo standard della
Federazione e lo faceva con proprietà ma era chiaro come non fosse la
sua lingua madre e come l’accento che lei non riconosceva ne facesse
capolino attraverso le parole. Non stava usando il traduttore universale.
“Come Lin le avrà certamente spiegato, io sono il Maestro Ar Akul.
Prego, si accomodi.”
L’uomo si alzò, per scostare la sedia accanto alla sua. Era alto e
robusto. Dal modo in cui si muoveva sembrava giovane, ma c’era qualcosa
di rigido, quasi meccanico, nei suoi movimenti.
Xyr rimase immobile ancora qualche istante poi face qualche passo avanti
e si diresse verso quello che ormai era chiaro fosse il suo posto.
“Dove sono i miei uomini?”
“Subito al punto, non è vero?” Ar Akul sembrava quasi compiaciuto.
Rimase in piedi accanto alla sedia, in paziente attesa che lei vi
prendesse posto. “Scoprirà che ci stiamo prendendo cura di loro e che
sono in ottima salute. Ci siamo occupati dei danni che avete riportato
nell’incidente. E speriamo che questo ci permetta di instaurare un
rapporto di reciproca fiducia.”
“Per cosa?” domandò Xyr, avvicinandosi.
“Vede, Tenente. Ci occorre il vostro aiuto.”
Xyr aprì bocca per la domanda successiva, ma si bloccò. Nel suo
avvicinarsi alla sedia era entrata nel cono di luce che le permetteva
finalmente di vedere l’uomo in faccia.
Solo che al posto del suo volto, c’era una maschera completamente bianca.
*USS Hope – Plancia – 1/11/2396 – Ore 20.18*
Bueller tamburellava con le dita sul bracciolo della poltroncina di
comando. Non era per natura una persona paziente e questa attesa lo
stava snervando. Erano tornati alla Nebulosa nel minor tempo possibile
ma, naturalmente, se alla navetta era accaduto qualcosa di grave,
sarebbe stato comunque troppo tardi.
“Rapporto?” domandò per la quindicesima volta dall’inizio dell’ultimo
turno, provocando l’innalzamento del sopracciglio vulcaniano di Rest e
l’abbassamento delle spalle del timoniere sostituto di Luna. Senza di
lei, tra l’altro, la plancia era notevolmente più noiosa.
Si aspettava una nuova ETA dall’ufficiale, quando questi, stupendo
evidentemente anche se stesso, annunciò: “Siamo arrivati!” Si schiarì
poi la gola. “Ehm, voglio dire… siamo nel raggio visivo delle ultime
coordinate conosciute della navetta, Capitano. ETA 11 minuti.”
“Sullo schermo,” ordinò Bueller, protendendosi in avanti.
Si aspettava l’ormai familiare sagoma della Nebulosa del Diavolo, rossa
su sfondo nero, inquietante e ghignante. Invece sullo schermo non c’era
più nulla.
-------------- parte successiva --------------
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