[Stml17] [12.00 - Graahn - La Grande Rivelazione]
Maddalena
bryn.lwellelyn a gmail.com
Lun 29 Ott 2018 20:19:51 CET
Dunque, un paio di precisazioni.
Anche se nelle nuove missioni normalmente si inserisce la data odierna,
ne ho tenuto una di qualche giorno successiva a quella dell'ultima
missione. In pratica stiamo tornando sulla terra come da conclusione del
brano precedente.
Visto che ho avuto carta bianca, non volevo fare una cosa tipo imbarchi
ma ho comunque colto l'occasione per spiegare la reazione del personaggo
alla Grande Rivelazione. Ha iniziato SIlvia e immagino che altri lo
faranno, anche perchè pu avendone parlato qui brevemente mi sembra una
cosa abbastanza importante. Ho accennato brevissimamente alle reazioni
di altri personaggi ma non ho approfondito, non sapendo di preciso cosa
si vuol inserire. Se non andasse bene, lo sistemo.
Ho anhe inserito un altro spunto che nella mia idea potrebbe essere
l'inizio di un'avventura a sè ma che volendo si può anche ricondurre a
quel che sta succedendo o lasciar cadere, a seconda di come progredisce
la faccenda.
Ho fatto un po' fatica a scrivere, non sapevo bene come metterla giù.
Spero vi piaccia.
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*USS Hope- 14 aprile 2398, Ore 01.14*
Nel sogno Rest stava ballando il valzer e a a Caytlin la cosa sembrava
assolutamente naturale.
Più tardi, a mente sveglia, si sarebbe detta che effettivamente la cosa
non avrebbe dovuto stupirla più di tanto. Non che Rest le sembrasse il
tipo di persona che frequenti abitualmente le sale da ballo ma, nelle
giuste condizioni, perché mai non avrebbe dovuto danzare?
Certamente possedeva l’abilità e la coordinazione per farlo e se gli
fosse stato ordinato con una buona ragione o la situazione lo avesse
richiesto – ad esempio ad un incontro diplomatico ufficiale – certamente
lo avrebbe fatto.
Nel sogno, tuttavia, si stupì della sua mancanza di stupore.
Sapeva che si trattava di un sogno e, in un certo senso, temeva quello
che sarebbe potuto accadere in quello strano modo in cui si teme a cosa
si potrebbe assistere quando si è consapevoli che è la propria mente a
determinare la realtà intorno a noi.
Per il momento, comunque, a parte il valzer, non stava accadendo nulla.
La stanza in cui si trovavano era circolare e ampia, soffusa di una luce
tenue appena sufficiente a vedere il contorno dei mobili e completamente
deserta, a parte loro due.
La musica sembrava provenire da ogni direzione e da nessuna in
particolare. L’ambiente era piacevole e, a parte quello strano senso di
timore generato dalla consapevolezza di stare sognando, Caytlin stava
piuttosto bene.
Rest la superava in altezza di un buon venti centimetri, eppure i loro
movimenti risultavano straordinariamente aggraziati. Lui la allontanò
leggermente da sé, tenendole la mano per farla piroettare e Caytlin
sollevò appena l’orlo dell’abito lungo e setoso, di un morbido blu
notte, che indossava eseguendo passi che non sapeva di conoscere.
“Tutto questo è alquanto… insolito,” commentò Rest, nel suo elegante
smoking, con l’assoluta mancanza di inflessione che solo i vulcaniani
sanno mettere nelle loro affermazioni, qualunque sia l’argomento in
discussione, dalla geometria dei campo di curvatura alle abitudini di
accoppiamento di Bueller.
“Non è reale,” rispose lei, mentre tornavano a danzare allacciati.
“No, non lo è. Si tratta di un sogno.”
Tornò il silenzio, l’unico rumore, oltre alla musica, era costituito dai
loro passi sul pavimento lucido.
Non è che la conversazione spumeggiante fosse il punto forte di Rest,
nemmeno durante le loro ore di veglia. In qualche modo, però, Caytlin si
aspettava che la versione di lui proiettata dal suo inconscio sarebbe
stata più incline alle chiacchiere.
Non lo era.
La musica scemò lentamente e tacque. Loro conclusero la figura e si
fermarono. Rest le fece un mezzo inchino, ma non si sbilanciò fino ad
arrivare ad un baciamano.
Caytlin non sapeva se congratularsi con se stessa perché anche il
proprio inconscio aveva inquadrato con esattezza il carattere di Rest o
essere delusa.
Rimasero in piedi per qualche istante, l’uno di fronte all’altra. Rest
inarcò leggermente un sopracciglio.
“Stiamo attendendo qualcosa?”
“Di svegliarmi,” rispose lei con la vaga impressione che ci fosse
dell’altro.
Poi la luce si spense.
*USS Hope – Ufficio Tenente Rodriguez – 14 aprile 2398, ore 8.15*
**
“Del cioccolato? Perché non lo replica?”
Per un folle attimo, Paulo pensò che la Graahn stesse usando un qualche
gergo segreto che lui non conosceva per chiedergli di rimediarle un
carico di droga. Non che lui, nel caso, non avrebbe saputo dove mettere
le mani, ma il fatto che fosse proprio la trill a chiederglielo gli
faceva un po’ impressione. Senza contare che Basta l’avrebbe ammazzato.
“Se volessi del cioccolato normale lo replicherei,” spiegò lei come se
fosse ovvio. “Ma vorrei del cioccolato aldebarano e quello non si può
replicare.”
Effettivamente il cioccolato aldebarano non si poteva replicare ed era
anche piuttosto raro. E perfettamente legale, motivo per cui Paulo non
se ne era mai interessato più di tanto. Non pensava che sarebbe stato
difficile reperirlo, era solo che la Graahn, sempre così ligia alle
regole, non era mai venuta da lui a chiedere niente prima di quel momento.
“Non per impicciarmi, ma perché non se lo compra alla prima occasione?”
“Diciamo che è il mio modo per sfogare lo stress. E sono stressata
adesso,” aggiunse a mo’ di ulteriore spiegazione.
“Beh, a ognuno il suo. Qualcuno il cioccolato, qualcuno l’alcol,
qualcuno… beh.” Tossicchiò ripensando alla conversazione con Basta.
“Nessun problema, dottoressa. Però avrà il suo costo.”
Melanne si sporse leggermente in avanti, verso l’altro. Fu un movimento
a scatti, come se tentansse di essere minacciosa ma non avesse bene idea
di come riuscirci. E non ci riuscì, così parve rinunciare e tornò ad
appoggiarsi allo schienale. “Si ricorda quel discorso che abbiamo fatto
sul non farsi visitare quando si ha qualcosa da nascondere?”
Paulo sbuffò. “Non vedo cosa dovrei nascondere… o meglio, cosa dovrei
nascondere che una visita di routine possa rilevare,” aggiunse dopo un
istante, poi parve ripensarci di nuovo. “No, ok. Mi ha convinto. Un mese.”
“Due settimane. La metto in fondo alla lista, è il massimo che posso fare.”
“Andata.”
**
*USS Hope, Hangar navette – 14 aprile 2398, Ore 09.22*
“Glielo faccio sistemare a mano, poi lo ammazzo,” borbottò Luna. “Anzi,
prima lo ammazzo e /poi/ glielo faccio sistemare.”
“Non è messo tanto male,” tentò Ferris in tono incoraggiante.
“Insomma…” commentò Paulo con occhio critico.
L’Akesh effettivamente non aveva un bell’aspetto. Ricordava più una
lattina schiacciata che il vascello scattante e veloce che era stato
prima di essere rubato. Sistemarlo a mano non sarebbe stato possibile
nemmeno volendo, vivo o morto che fosse Basta durante i lavori,
qualunque fossero i pezzi che Paulo sarebbe stato in grado di recuperare.
Ferris non aveva il cuore di dirlo.
Luna lo sapeva ma in quel momento, nonostante tutta la sua tempra,
ammetterlo faceva troppo male.
Fu Paulo a calare la scure.
“Se ti interessa conosco un tizio che conosce un tizio che conosce un
altro tizio il cui fratello potrebbe procurartene uno nuovo praticamente
uguale.”
Gli altri due si voltarono ad osservarlo.
“E’ stato un regalo di mio nonno.”
“Non è detto che anche quello nuovo non appartenesse a tuo nonno in
precedenza,” commentò Paulo con nonchalance.
Ferris tossicchiò prima che la scena sfociasse in massacro. “Visto che
torniamo sulla Terra, potresti portarlo in un cantiere. Sono sicuro che
te lo rimetteranno a nuovo.”
“Vedi, se fossi stato tu a ridurlo così,” riprese Luna, gli occhi sempre
fissi sulla sua nave martoriata, ignorando completamente il
suggerimento, “avrei anche potuto accettarlo. Ti avrei portato sul ponte
ologrammi e ti avrei sbattuto come un tappeto. E tu non te la saresti
nemmeno presa.”
“Ah, no?”
“Invece non posso picchiare Basta.”
“Perché no?”
“Basta ha già i suoi problemi,” si inserì Rodriguez.
“La dottoressa Graahn?”
“Credo l’abbia già picchiato lei.”
“Presa male, eh?”
“A proposito di prenderla male, la Lennox cosa ha detto del fatto che
stiamo tornando sulla Terra?”
“Non saprei, le ho chiuso la comunicazione in faccia.”
Sia Luna che Rpdriguez si voltarono a guardarlo.
“Xyr lo sa?” chiese lei dopo un istante.
“Aspetto il momento giusto per dirglielo.”
“Com’è quel detto? Nessun inferno sarà mai come una donna infuriata?”
Paulo fece spallucce. “Ci sarà da divertirsi.”
*USS Hope, alloggio consigliere Caytlin, Contemporaneamente*
Cytlin finì di sistemarsi i capelli e controllò gli appuntamenti della
giornata con un leggero sbuffo di depressione. Dalla Grande Rivelazione
in avanti, fuori dal suo studio c’era letteralmente la fila. Non si
poteva dire che l’equipaggio non la ritenesse utile, tutti o quasi
parevano volere il suo consiglio, il suo parere, parlarle dei propri
sentimenti.
Tuttavia, l’intera faccenda le risultava snervante.
Probabilmente era questo il motivo dei suoi stupidi sogni. Normalmente
non l’avrebbero turbata, non ci avrebbe perso più di un minuto, ma in
quel caso sentiva una strana inquietudine al riguardo. E, dal momento
che non si trattava d sogni particolarmente spiacevoli, non si spiegava
il perché. Si morse lievemente il labbro inferiore davanti allo
specchio, poi scosse la testa e scacciò il pensiero. Il suo inconscio le
presentava immagini distorte dell’equipaggio e del loro comportamento,
specialmente di coloro per cui era più preoccupata. Coloro che
potenzialmente avrebbero potuto prendere peggio la presenza, finora
segreta, di un alieno interdimensionale nella propria mente e che
difficilmente avrebbero chiesto il suoi aiuto. Ecco tutto. La situazione
non si preannunciava facile e non era sicura che tornare sulla Terra
avrebbe migliorato le cose.
Non vedeva cosa l’ammiraglio Lennox avrebbe potuto dire loro più di
quello che già sapevano.
Qualunque sarebbe stato lo sviluppo, tuttavia, lei avrebbe dovuto essere
pronta.
*USS Hope, ufficio Ufficiale Medico Capo, Contemporaneamente*
Melanne tamburellava distrattamente con le dita sul piano della sua
scrivania, nel mentre fissava i dati che scorrevano sul display.
Aggrottò leggermente le sopracciglia, si ficcò in bocca il quinto
cioccolatino replicato dell’ultima mezz’ora e ricontrollò ancora una
volta le sue analisi.
La trill si appoggiò allo schienale della poltroncina, sollevò le gambe
e incrociò le caviglie sul piano del tavolo.
Quei dati non avevano minimamente senso. Ovviamente avrebbe dovuto fare
delle analisi più approfondite ma non aveva idea di cosa cercare
davvero. Eppure se l’alieno di cui aveva parlato la Lennox aveva e stava
tuttora operando fisicamente su di loro, se erano in grado di sentire
parzialmente le sue emozioni o di evocarlo, per così dire, qualche
segnale avrebbe dovuto esserci. Qualcosa nelle onde cerebrali, qualche
anomalia nelle risposte neuronali. Qualsiasi cosa.
Eppure lei non vedeva nulla in quei dati. E non si poteva dire che non
ci si fosse impegnata.
Dopo la Grande Rivelazione, non aveva avuto molto tempo per pensare a
quello che avevano scoperto. Non che l’idea di avere un alieno
interdimensionale nella testa, che in precedenza li aveva quasi uccisi,
le piacesse ma lei aveva presentato domanda per la commissione simbiosi.
Avere una seconda voce nella mente non le faceva tanta impressione come
agli altri.
Era arrabbiata per la menzogna, questo sì, ma era anche curiosa di
capire come non se ne fosse accorta prima – specialmente con gli esami
cui si era sottoposta dopo essere stata posseduta da quel mutaforma - e
preoccupata per come avrebbe potuto prenderla Lon, visti i suoi
precedenti, così aveva ricacciato indietro il primo sentimento. Non
aveva tempo di arrabbiarsi, aveva un lavoro da fare, delle aspettative
da soddisfare, domande a cui rispondere.
Subito dopo Basta, in un’improvvisa esplosione d’ira e testosterone,
aveva conteso a Bueller il discutibile privilegio di rubare una nave e
rischiare di farsi ammazzare. Anche questo l’aveva fatta arrabbiare,
soprattutto perché se n’era andato senza dirle niente. Ma capiva che
tecnicamente non avrebbe avuto motivo di informarla – anche se lei
l’avrebbe fatto, a parti invertite - e, ancora una volta, aveva
l’infermeria piena di feriti di cui occuparsi. Non aveva tempo di
arrabbiarsi.
Il lato positivo era che Lon non si era fatto ammazzare e nel contempo
avevano probabilmente salvato l’universo e tutto quello che conteneva.
Lui sembrava uno gettato da una navetta in volo, ma tutto sommato non se
la passava troppo male. Probabilmente si era aspettato la sua filippica
di rito e l’aveva ascoltata con la giusta espressione contrita in volto.
Tuttavia, non l’aveva presa molto sul serio e forse era stato questo a
farla scoppiare.
Per la prima volta aveva dovuto impegnarsi per reprimere l’istinto di
mollargli un ceffone. Lui se n’era accorto, almeno credeva, ma Melanne
non gli aveva dato il tempo di dire qualcosa. Aveva sfogato su di lui la
sua rabbia, l’aveva rappezzato e l’aveva cacciato dalla sua infermeria.
Non ci aveva più parlato da allora. Poi aveva abbaiato qualche ordine ad
un’atterrita infermiera – nessuno prima d’ora era mai stato atterrito da
lei – e si era chiusa in ufficio. Aveva ordinato un the e aveva rotto la
tazza. E in un impeto di patetica ribellione non aveva raccolto i pezzi
fino al giorno dopo.
Successivamente aveva preso l’abitudine di passare molto più tempo nel
proprio ufficio. Se la situazione in infermeria era tranquilla e lo
permetteva – e dimessi gli ultimi pazienti non c’era stato un granchè da
fare – delegava la compilazione dei rapporti al primo membro del
personale di passaggio e si chiudeva nel suo studio. Questo le dava la
duplice occasione di passare al setaccio le cartelle cliniche del
personale alla ricerca di segni rivelatori di invasione aliena –
tristemente mancanti senza ulteriori test -e di starsene in pace a
mangiare cioccolato.
Era arrabbiata. Di più, stavolta era veramente incazzata, come non lo
era mai stata prima. Questa bruciava forte. Era un sentimento nuovo per
lei e, per tanto, ancora più sconcertante.
Melanne aveva passato tutta la vita cercando di soddisfare le
aspettative altrui. Quelle della sua famiglia, poi quelle dei suoi
insegnanti, infine quelle dei suoi superiori. Aveva concentrato tutto il
suo impegno sul raggiungimento di quell’obbiettivo che naturalmente
aveva avuto un costo. In accademia si era guadagnata la fama di quella
che sa sempre tutto grazie al semplice espediente di non avere una vita
sociale. Quindi era diventata il medico diligente, su cui si può contare
ma da cui non ci si aspettano uscite esilaranti, motti di spirito o atti
eroici. Quella di cui si ascoltano le ramanzine dopo essersi buttati
senza batter ciglio nel genere di missioni che salvano l’universo.
Se la vita a bordo della Hope fosse stata un romanzo, lei sarebbe stato
il personaggio noioso.
Lo sapeva e le andava bene così. Non possedeva il carattere di Luna, la
leadership di Xyr o l’intuito di Caytlin ma era brillante e si trovava
lì per le sue capacità e per il suo lavoro.
O almeno così aveva creduto.
Ora saltava fuori che se in quella sala al posto loro si fosse trovato
un gruppo di addetti alle pulizie, anche loro avrebbero avuto una nave.
Poteva anche essere che la Lennox fosse davvero arrivata con il tempo a
credere nelle loro capacità, ma il merito iniziale era loro quanto della
poltroncina su cui sedeva Strauss.
Naturalmente, se non erano lì per merito loro ma solo per una fortuita
serie di eventi, non c’era più motivo di essere la migliore. L’istinto
al dovere era troppo radicato in lei perché trascurasse i propri
compiti,ma dal suo punto di vista tutta quella storia aveva un
interessante risvolto.
Non c’erano più aspettative da soddisfare.
Era libera.
*USS Hope, alloggio Tenente Rest, Contemporaneamente*
**
Rest aveva sempre trovato la meditazione piacevolmente utile, in
particolare nell’ultimo periodo, da quando l’atmosfera a bordo era
diventata così emotivamente logorante.
Non era sua abitudine criticare l’operato dei propri superiori ma non
vedeva quale fosse la ragione logica per informare l’equipaggio di una
rilevazione così potenzialmente perturbante in un momento tanto delicato.
Aveva imparato nel corso dei mesi precedenti ad apprezzare maggiormente
i propri colleghi, a valutare i rispettivi punti di forza e di
debolezza. Nonostante questo, non si poteva negare che la facilità con
cui si abbandonavano alle emozioni fosse notevole e, in alcuni casi,
pericolosa.
Non aveva dubbi, ad esempio, sul coraggio di Basta. Ma non ne aveva
nemmeno riguardo il fatto che probabilmente, se non fosse stato turbato
da quella che l’equipaggio aveva ribattezzato ormai la Grande
Rivelazione, la sua recente linea d’azione avrebbe potuto essere differente.
Lui stesso aveva risentito della situazione, naturalmente. Aveva
riflettuto a lungo e intensamente su ogni aspetto del problema, ma
ancora non era riuscito a dissipare gli effetti che l’idea di un essere
annidato nella sua mente – oltre al complesso castello di menzogne messo
in piedi dall’ammiragliato – aveva su di lui. Si sentiva confuso,
trovava maggior difficoltà nel concentrarsi e la sua attività onirica
era diventata in qualche modo una nuova distrazione. Il sogno di un
valzer con il consigliere normalmente non avrebbe assorbito nemmeno una
minima parte della sua attenzione.
Mai come ora era importante concentrarsi sulla meditazione.
-------------- parte successiva --------------
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